
Arte a prima vista
a cura di Francesco Maria Moriconi
L'altra realtà di Osvaldo Licini

La vita e l'opera di Osvaldo Licini sono ormai conosciuti per mostre e scritti che ne hanno evidenziato l'importanza artistica nel corso di diversi decenni. Di lui si è studiato quasi tutto: il precoce interesse per l'arte, gli studi a Bologna e Firenze; i viaggi e le frequentazioni del milieu artistico e intellettuale parigini; la scelta di vivere in un piccolo sperduto paese non lontano da Fermo; i contatti con l'intellettualità marchigiana (si pensi solo a quella col poeta Acruto Vitali e col critico Luigi Dania di Porto San Giorgio); l'evoluzione stilistica che ha sperimentato il Futurismo; il confronto con l'arte di Cézanne, Modigliani, De Pisis, Morandi, Matisse, Dérain, Van Gogh; il geometrismo astratto; la partecipazione a importanti esposizioni non solo in Italia; il suo spirito di nomade dello stile (il personaggio dei suoi racconti, Bruto, è un ribelle), tal che pur partecipando alle prime due Mostre del Novecento italiano, promosse da un'intelligente e lungimirante Margherita Sarfatti, di fatto poi si distacca da questo "ambiente", percorrendo vie sue, come farà anche un artista quale Achille Funi (sia pure con intenti figurativi lontani dall'ansia ricercatrice di Licini). Da ultimo, Licini è stato anche scrittore (e andrebbe meglio studiato) ed era un attento lettore che conosceva a memoria i versi di un altro ribelle quale Dino Campana.
Il prossimo anno ne ricorre il 130° della nascita nel 1894 a Monte Vidon Corrado, paese di cui fu anche sindaco nel dopoguerra. Pur se assai nutrita, la bibliografia degli scritti su di lui, accompagnati da molte mostre a cui partecipò sin da giovane; anche se ormai abbastanza diffusa la sua conoscenza in un pubblico più ampio che non sia solo di addetti ai lavori (chi non ne conosce le amalasunte o gli angeli ribelli?), molto ancora si può fare per diffonderne le idee e le opere. Anche il periodo della sua produzione astratta è noto. Meno, probabilmente, quella degli anni '20 in cui Licini si mosse fra Parigi e l'Italia, periodo che per comodità egli stesso definì dubbiosamente del "realismo?". Una mostra allestita nel paese natale nel 2019 dal Centro Studi Licini (nella Casa museo dell'artista aperta al pubblico tutto l'anno) ha avuto il merito di far conoscere meglio una parte di questa fase stilistica, con qualche interessante novità.
Il riconoscimento della sua opera avvenne definitivamente nel 1958 (anno della sua morte) alla XXIX Biennale di Venezia dove ricevette il Gran premio internazionale per la pittura. Licini vi prese parte, non a caso, con molte opere datate fin dal 1925 (per inciso, andrebbe riconosciuto che per tale partecipazione tra gli altri si era speso anche l'amico Luigi Dania di cui abbiamo scritto nell'articolo inaugurativo di questa rubrica). La mostra del 2019 aveva un titolo accattivante: L'altra realtà: le nature morte di Osvaldo Licini. Il merito di questa esposizione è stato di aver fatto conoscere una produzione forse meno indagata. E non solo una esigenza filologica di ricostruzione della sua carriera pittorica ha spinto gli organizzatori a ritagliare questo periodo intermedio della produzione liciniana, ma anche, penso, la volontà di dare il giusto rilievo a temi, stile e contenuti che l'artista ha saputo trovare e reinventare già con le nature morte degli anni '20. D'altra parte, discorso analogo potrebbe farsi per i paesaggi degli stessi anni, tema che anticipa certi tratti paesisticaci in cui fluttueranno le sue amalasunte.
Dato peculiare è che nei suoi quadri il paesaggio marchigiano è non naturisticamente riprodotto, ma riletto in un modo che ha fatto parlare di una sorta di contemplazione (Figura 1). Una riscrittura del paesaggio che ne evidenzia colori e forme con delicato lirismo (Figura 2).
Si è parlato anche di "sospensione metafisica" che, in tal senso, è rintracciabile anche nelle nature morte, termine che in Licini è più un ossimoro che un genere pittorico. (Figure 3 e 4).
Le marine con la campagna ci dicono anche del mondo poetico liciniano che scelse di vivere in quelle Marche che sono incastonate fra i leopardiani monti azzurri e il mare che ha ispirato molti poeti del '900. Non sono mondi separati ma organicamente uniti nella vita dell'artista.

Ma veniamo alle nature morte, procedendo per assaggi minimi della produzione di piccoli quadri. Licini è evidentemente alla ricerca di un proprio stile e lo fa rifondendo esperienze artistiche diverse. Gli autori che possono averlo influenzato e a cui abbiamo accennato sono diversi; da ognuno egli ha saputo ricavare qualcosa senza mai ridursi ad epigono degli stessi. Gli stili sono spesso rifusi e, accanto a temi e toni accostabili a un De Pisis (Figura 5), rileviamo figure spazialmente irregolari, non definite dal ductus d'impatto che l'artista imprime alla pennellata, decisa, sicura, materica, (Figura 6).
Apparentemente un senso di decadenza può far pensare ad una visione da un lato crepuscolare e dall'altro fortemente pessimistica, ma il mondo che ci si offre non è ripiegato su se stesso in modo decadente, né la sua visione di disfacimento materiale induce ad un pensiero radicalmente orientato alla morte. In lui, come anticipato, il termine "natura morta" è un ossimoro in cui i due termini non si elidono ma si compenetrano in una dimensione che, nella produzione successiva, sarà sempre più orientata al cielo infinito, luogo poetico di chi si ostina a non farsi schiacciare senza speranza sulla terra. La pittura delle nature morte è a volte materica, descrive poi una situazione in bilico di cui testimonia l'asimmetria d'impianto e il posizionamento su piani inclinati, con un richiamo a Cézanne (Figura 7), ma spesso impressiona la sua ascendenza morandiana dai colori più tenui (Figura 8); anche accostare Licini a de Pisis è lecito, pur con qualche distinguo, laddove a certi risultati il nostro era arrivato anche prima e, soprattutto, prediligendo un'interpretazione coloristica che in Licini appare originalmente più sfumata. C'è poi nella sua opera un senso del divenire sottolineato da ripensamenti volutamente lasciati in trasparenza, che, quindi, non sono dettati da mera esigenza di perfezionarla. Parlerei quindi di natura a suo modo viva nel suo divenire, in quello che è stato definito dinamismo di Licini.
Nel modo di dipingere tali soggetti l'artista manifesta un senso di accettazione della condizione della natura, dell'uomo/creatura che è sempre aperto ad una superiore contemplazione. Approfonditamente queste ed altre tematiche ha sviluppato Daniela Simoni nel catalogo della mostra, pertanto non voglio dilungarmi qui sulle numerose suggestioni suscitate sia dall'esposizione sia da quanto scritto dai curatori del catalogo. Mi piace però accennare ad un particolare che ritorna nelle nature morte, vale a dire la presenza di conchiglie (Figura 9) che, al di là della funzione di contrasto di forma e colore nell'impianto del quadro, credo possa essere letto come trait d'union fra i paesaggi marini e quelli dell'entroterra marchigiano. Se questo fosse voluto dall'artista o una scelta inconsapevole non saprei dire. Certo è che, pur nel prevalere di certi temi, il mare non solo è presente esplicitamente, ma la stessa conchiglia assurge a suo simbolo "ossificato".
Mi chiedo, a questo proposito, se non vi sia anche un'allusione ad una poesia dell'amico Acruto Vitali del 1919. La loro amicizia era tale che, in occasione della morte di Licini, egli scriverà di lui come di una "fionda di luce" librata "sull'ultima luna", un angelo, un fiore. Nel breve componimento a cui mi riferisco il poeta, al passato, si autodescrive come un passero, ma al presente ("ora") come conchiglia che si nutre di sale... Mi piace pensare che quella umana conchiglia, sola sulla spiaggia, abbia poi trovato un posto in certi quadri di Licini. Ma, d'altra parte, la pittura di questo artista è poetica in sé e in questo senso è ancor più chiara in lui, anche nelle nature morte, anche nei paesaggi (tutte opere che in qualche modo anticipano gli sviluppi artistici successivi), la ricerca di una realtà altra, una dimensione che egli non ricava dalla natura riproducendola, ma ricreandola programmaticamente. Egli, già in questi anni, coglie lo spirito della natura in una dimensione sovrastorica prsente nella produzione più matura dei "viaggi" delle amalasunte e degli angeli ribelli che si muovono fra terra e cielo, fra finito e infinito.