
E' tutta musica leggera
Coppi, un omino con le ruote contro tutto il mondo
"Un uomo solo è al comando della corsa, la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Fausto Coppi". Fu la voce di Mario Ferretti, famoso cronista dell'epoca, a coniare e a diffondere, dalla radio, alla quale la gente, durante le corse ciclistiche, restava letteralmente incollata, questa frase, che resterà scolpita, indelebile, come le imprese leggendarie del Campionissimo, nella memoria sportiva e nell'immaginario collettivo.
Un omino con le ruote / Contro tutto il mondo / Un omino con le ruote / Contro l'Isoard / E va su... / Ancora / E va su...
E' il ritratto di Coppi schizzato, qui, da Gino Paoli, in un "clima" poetico e musicale lieve, intenso, elegiaco (in una canzone scritta insieme alla moglie, Paola Penzo) mentre il Bartali di Paolo Conte si librava, invece, abbiamo visto, in una dimensione ironica e sorridente. L' omino di Castellania, nell'Alessandrino (occhi miti e naso/ Che divide il vento), braccato dal destino, da una morte (la signora senza ruote) "banale", "assurda", per una malaria contratta in Africa, durante una battuta di caccia tra amici. Una malaria perniciosa, non diagnosticata in tempo.
L'indimenticabile e indimenticato "Fostò", tanto amato dai francesi (che nei versi di Bartali, invece, si incazzano) e rievocato in una canzone, Coppi, appunto, in quell'album bellissimo che è L'ufficio delle cose perdute .Una canzone dall'incedere melodico e dal ritmo "circolare", "pedalante" e levitante (violino, chitarra, pianoforte) che si spalanca improvvisamente su squarci aerei, luminosi, scintillanti, con quella neve che ti canta intorno, su quelle montagne imbiancate e silenti, mentre il piano tesse un tappeto di note dolcissime. Un lampo proustiano, un microfilm virato in un elegantissimo bianco e nero d'epoca, una poesia musicale che ha, nel frugale, concentrato lirismo, la dolcezza struggente delle memorie vive, incarnite, indelebili.
Fausto Coppi, l'Airone, dal purissimo, superbo, portentoso stile, un lampo di luce abbagliante che danza ancora, e brilla, nel pulviscolo del tempo. Un palmares strepitoso, il suo, pure se "frenato" e condizionato pesantemente dalla Seconda Guerra Mondiale, che lo costringerà, per alcuni anni, a un forzato riposo: 5 Giri d'Italia, 2 Tour de France, un "Mondiale", 110 vittorie, spesso per distacco, in altrettante corse (tra cui molte "classiche" prestigiose). Si dedicò anche al ciclismo su pista, dove divenne campione del mondo d'inseguimento e primatista dell'ora.
Qui da noi per cinque volte / Poi due volte in Francia / Per il mondo quattro volte / Contro il vento due/ Occhi miti e naso/ Che divide il vento / Occhi neri e seri / Guardano il pavè / E va su, ancora, e va su / Poi lassù/ Contro il cielo blu / Con la neve che ti canta /Intorno / E poi giù, e poi giù / Non c'è tempo per fermarsi / Per restare indietro / La signora senza ruote / Non aspetta più / Un omino che non ha / La faccia da campione / Con un cuore grande come l'Isoard...
Coppi e Bartali, coppiani e bartaliani: un discrimine assoluto, un aut-aut irreparabile, quasi più che tra democristiani e comunisti, in quell'Italia ancora in ginocchio, che riapriva gli occhi alla luce dopo la notte fonda di una guerra sciagurata, tra ladri di biciclette e sciuscià. Un Paese devastato, materialmente e moralmente, che contava i morti e si leccava le ferite, dove era appena finito il temporale e sei case su dieci erano andate giù. Così cantava Paolo Conte, in quello straordinario bozzetto d'epoca che è La topolino amaranto.
Due clan, due "partiti", guelfi e ghibellini, in un'Italia che si è sempre infiammata per queste popolari disfide (politiche, sociali, sportive). Si pensi ad esempio, più avanti, sempre nel campo delle due ruote, nell'ambito tuttavia di un'epica "minore", al duello Moser-Saronni. Coppiani e bartaliani, due ideologie, due "fazioni" (staremmo per dire due weltanschauung, due opposte concezioni del mondo, se l'espressione non risultasse troppo" alta" e ingombrante) che non si sopportavano e si guardavano in cagnesco.
Lo schivo, mite, tormentato, dolente, "laico", "scandaloso" Coppi, la cui vita privata, segnata da amori impossibili e da un'impossibile felicità (l'amore per Giulia Occhini, la famosa "Dama Bianca"; come il colore del montgomery da lei indossato, ad accoglierlo, all'arrivo di una tappa del "Giro") fu messa all'indice da una società bigotta e bacchettona, che lo radiò, come bigamo, adultero, dalla comunità cristiana. Sarebbe poi arrivato il piccolo Faustino e persino la condanna esplicita del papa, Pio XII. Un uomo dal cuore grande come l'Isoard, ma fragile e solo, dal volto ossuto sempre segnato da una piega malinconica. Trascinato, da quell'Italia chiusa e provinciale, dalla sua cattolica pruderie, dal suo moralismo e perbenismo da quattro soldi, nel vortice tempestoso del pettegolezzo e della chiacchiera, della cronaca scandalistica, della curiosità morbosa e "feroce. "Perennemente in fuga dal suo passato di garzone di salumeria, dalla povertà, dalla fatica muta e bianca, che non cambia mai. E in fuga dal suo presente inquieto, mai pacificato, dall'ombra della sua solitudine, dalla sua stessa vita, una vita da scalare, da conquistare, abitata da un dolore segreto, che gli ustionava l'anima. Ricordiamo anche la morte del fratello Serse, ciclista pure lui, scomparso a 28 anni, dopo una caduta in una corsa. Coppi omino fragile, novello Sisifo su due ruote, a trascinare il suo pesante macigno interiore su un impervio destino, a scalare il mistero della vita.
La sua irrimediabile solitudine lo apparenta a un altro grandissimo campione, del calcio questa volta, Gigi Riva Rombo di tuono, secondo la famosa espressione, coniata da Gianni Brera. Giggirriva hombre vertical, da sempre il mio personale e assoluto mito sportivo. E umano, potrei pure aggiungere. Anche lui uomo schivo, ritroso, refrattario alle luci della ribalta, all'ostentazione divistica, anche lui costretto a convivere con una immedicabile solitudine, con le cicatrici profonde dell'anima, un'anima fratturata, come le sue gambe, due volte nel corso della sua straordinaria carriera. Il grande bomber perse, in giovane età, entrambi i genitori, prima di trovare una" famiglia" nel popolo sardo, a cui regalò un memorabile scudetto, con la maglia del Cagliari, nel 1970. Anche lui, se vogliamo dirla tutta, "crocefisso", come Coppi, per una love story, che ,nell'Italia ancora bigotta degli anni '70 ,fece scalpore e finì sui rotocalchi .Per una "Dama Bionda", in questo caso. Dopo ogni goal, ogni prodezza balistica, dopo ogni impresa sportiva, sul suo volto "antico" e scolpito, da eroe greco, omerico, una gioia sempre "ferita" dalle sue stimmate di ragazzo orfano, una felicità velata, "amputata", mai compiuta, piena, appagata. "Non ho mai metabolizzato l'infanzia negata", ha confessato. "Le botte dei difensori", ha aggiunto, "sono carezze al confronto con le bastonate dei lutti, della solitudine, delle privazioni" .Gigi Riva e il suo leggendario rifiuto di trasferirsi alla Juventus, alla corte di Gianni Agnelli, l'Avvocato, che lo avrebbe letteralmente ricoperto d'oro. Per non abbandonare un popolo che l'amava profondamente, come un uomo di quella stessa terra, che delirava per lui e che l'aveva adottato come un figlio. Giggirriva "Ommine balente", uomo valoroso.
Coppi e Bartali, dicevamo...
E il cocciuto, brontolone, irascibile, sanguigno, pio, baciapile Bartali, combattente della strada e della fede, una fede dalle tinte mistiche, medievali. Bartali il supercattolico, "l'uomo che prima delle grandi tappe" (ha scritto Gian Paolo Ormezzano, nella sua Storia del ciclismo), "andava in chiesa a fare i piani di battaglia con il Signore. Battaglia contro gli avversari, proprio con l'aiuto del Signore". Il campione dell'Azione Cattolica, della Democrazia Cristiana e di Pio XII, il papa che, affermò Gianni Brera, "lo riceveva anche in maniche di camicia". Bartali "Giusto tra le nazioni", riconoscimento conferitogli dallo stato di Israele. Tra il 1943 e il 1944, infatti, ma questo si scoprirà solo poi, molti anni dopo ("il bene si fa ma non si dice"; così affermava, rivelò il figlio) rischiò la vita per salvare quella di ottocento ebrei dai lager nazisti. Nascondendo coraggiosamente documenti falsi dentro la canna della sua bicicletta. Bartali, ancora, che con una sua vittoria al Tour de France, nel 1948, scongiurò ,in Italia, quasi una guerra civile ,dopo i morti e i feriti nei tumulti e negli scontri di piazza ,in seguito all'attentato al segretario del partito comunista Palmiro Togliatti.
Coppi e Bartali, epos straordinario di un'Italia povera e contadina. Una diade inscindibile, due icone, due personaggi da romanzo, un duello e una rivalità leggendarie, come Ettore e Achille, Orlando e Rinaldo...E resterà per sempre anch'essa, incisa nell'immaginario popolare e nella storia del ciclismo, quell'istantanea che li coglie, in una tappa di montagna del Tour del '52, a scambiarsi la borraccia. Secondo la versione "colorita" e verace di "Ginettaccio", fu lui a passarla al Campionissimo: "Fausto non ne aveva più. Poi, fammi dire, io dalla sua non avrei bevuto..."
Ma sentiamo ancora Gian Paolo Ormezzano: "Bartali era la DC e Coppi era il rosso. Bartali era monogamo e Coppi era il bigamo. Bartali era il casto e Coppi il libertino. Bartali era quello che non si dopava e Coppi era quello che prendeva la simpamina. Bartali era l'uomo di ferro e Coppi era fragile. Bartali era stato partigiano e Coppi era stato prigioniero nel Nord Africa. Bartali non si faceva mai male e Coppi si rompeva. Però Coppi aveva un'infinita classe in più".
Ha scritto Gianni Brera, il mitico Joan, che a Coppi e ai suoi demoni invincibili ( contro i quali sempre lottò) ha dedicato un libro, Coppi e il diavolo :"Su due spalle stranamente esili s'innesta il capo che neri e lisci capelli, quasi mai pettinati, paiono rendere allungato a dismisura. E il collo, che pure è sottile, quasi si perde nella secchezza della mandibola e nella nuca folta di capelli. Il torace, per una anomalia che è invece funzionale e a tutta prima non ti spieghi, via via che scende, ingrandisce, lo sterno pare carenato come negli uccelli".
Ascoltiamo infine Gino Paoli: "Quando ero bambino, abitava a Sestri Ponente, non lontano da noi. Mi affascina la sua volontà disperata, quel suo combattere e vincere nonostante la fragilità del fisico e le infinite fratture. Quella sua solitudine aspra, senza gioia, il coraggio con cui mandò a cagare il mondo intero per seguire la donna che amava. Quel suo tenersi tutto dentro, schivo come solo un ligure, o un langarolo sa essere. E la sua sovrumana resistenza al dolore: pianse una volta sola, quando morì suo fratello Serse. La mia canzone cominciava così: Un omino con le ruote contro tutto il mondo..." Pedala, pedala, e va su, ancora, e va su...