
E' tutta musica leggera
a cura di Fernando Romagnoli

Fernando Romagnoli è nato e vive nelle Marche. Laureato in Filosofia all'Università di Macerata, in Sociologia e in Lettere all'Università di Urbino, si interessa di musica e letteratura. Collaboratore delle Edizioni De Agostini e bibliotecario, da molti anni è insegnante di Lettere. Si dedica alla scrittura poetica e critica, partecipando al dibattito culturale con interventi e saggi. Collabora con la rivista on-line MusiCultura.
Ha ottenuto affermazioni e segnalazioni in numerosi concorsi di poesia e premi letterari a carattere nazionale . Suoi versi sono apparsi in antologie e riviste.
Ha pubblicato, per la poesia, "Il tempo e i giorni" (Pescara, 1989), "Di sangue e d'oro" (Pescara, 2010), "La bellezza quieta" (Pescara, 2015), "Luce, cenere" (Pescara, 2019). E i saggi "L'inarrivabile vita - Lettura di Pavese" (Bologna, 1991-Premio Bontempelli-Marinetti), "Una luna in fondo al blu - Poesia e ironia nelle canzoni di Paolo Conte" (Foggia, 2008), "Un'invincibile estate - Passione di vivere in Albert Camus" (Pescara, 2017), "Così leggera che ci fa sognare - Viaggio sentimentale nella canzone italiana" (Genova, 2021).
RAZMATAZ, UN LUNGO VIAGGIO INDIETRO, UN INCANTESIMO. IL SOGNO VERDE DI PAOLO CONTE

"Razmataz è un vecchio sogno che coltivo da trent'anni, figlio dei miei vizi capitali che sono la musica e la pittura, e del desiderio di mettere il naso nel gusto e nello spirito degli amati anni Venti, culla delle avanguardie estetiche del Novecento, lì dove qualsiasi idea di modernità deve per forza recarsi in adorante pellegrinaggio. Sono sempre più convinto che il secolo al termine abbia dato il suo meglio nei primi rivoluzionari decenni: l'invenzione del cinema, del jazz e dell'atonalismo, l'avanguardia pittorica del cubismo, del da-da, del futurismo ..."
Razmataz, uscito all'alba del Duemila, il lavoro che Paolo Conte si portava dentro "da trent'anni", è un'opera all'insegna della contaminazione, del mélange, un sapido miscuglio tra varie arti: musica, pittura, cinema, fumetto, teatro. Come tale un unicum, un lavoro che rifiuta qualsiasi etichetta, che sfugge a qualsiasi facile definizione o tentativo di incasellarlo in un genere.
Musical, radiodramma, film in cerca di un regista... Conte ha parlato di "sceneggiato radiofonico illustrato, storyboard sonorizzato, film senza cinema", soprattutto: "L'ho sempre visto con una mentalità cinematografica. Ma era un progetto molto costoso, quasi irrealizzabile. Io stesso l'ho complicato, pensando ad attori e ad attrici di una razza estinta. Penso alle facce di Jean Gabin o di Michelle Morgan, a Max Von Sidow. Oggi le star hanno quell'aria adolescente... E' rimasta Annie Girardot, che ho ingaggiato come voce narrante in francese".
Razmataz è, in ogni caso, il suo sogno verde realizzato (il mio Mozambico) un sogno di gioventù, che danza e vive, un'opera raffinata, fantasiosa, creativa, originale, riepilogativa di carriera, nella quale l'avvocato di Asti (troppo "vecchio sognatore" per restare confinato a vita tra le quattro pareti del suo studio, tra "sudate carte" e codici polverosi) ripropone i suoi languori e i suoi incantesimi di un passato mitico e inarrivabile.
Una conturbante e sognante evocazione, maturata tra Parigi e
New Orleans, nella contemplazione e nel rimpianto, di un'epoca
beata, favolosa "trascendentale"; i roaring twenties, i ruggenti e
swinganti, prediletti, adorati anni Venti, con la loro aura poetica e
"innocente", magica e sottilmente selvaggia, con i loro palpitanti
aromi d'antan e le seduzioni di antichi, insinuanti profumi creoli.
"Un profumo", confessa Conte, "che continuo a inseguire". "Era
ancora un secolo innocente dove l'arte sembrava un valore
fondamentale, poi sono arrivate le guerre, tutto si è corrotto".
Anni fertili, sperimentali, rivoluzionari; spira ancora, da quelle
lontananze, un vento fiabesco, una tempesta di romanzo, che
è come una leggera, vivificante brezza tra le quattro pareti del
cuore:
I'm feelin', dear, that romance's wind I'm feelin', dear, that romance's gloom I'm feelin',
sweetheart
I'm feelin', honey
I'm feelin', bam-boo-la, ra-ra-ra-ra-ra I'm feelin', dear that romance's gong I'm feelin',
baby, for you...
Razz-Ma-Tazz, Razz-Ma-Tazz, shuffle along! Come on and swing, little young funny
girls, Come on and shuffle along,
Come on and swing, my sweet vamping king kongs! Razz-Ma-Tazz, Razz-Ma-Tazz...
(Razzmatazz)
Mi correva sotto la penna, per caratterizzare l'atteggiamento mentale e sentimentale di Conte che si china sul passato, il termine nostalgia, ma mi sono frenato. Meglio evocazione, contemplazione, rimpianto; se tutte le parole hanno un senso, non è la stessa cosa. Conte, infatti, non ama questa parola, nostalgia appunto , una parola inflazionata e abusata, invece, nel magazzino dei luoghi comuni della critica.
"C'era un gusto fatale nelle cose. Un profumo che continuo a inseguire e che, voglio precisarlo, non è nostalgia. La nostalgia viene fuori quando si ricorda qualcosa che si è vissuto in prima persona. Io invece inseguo qualcosa che non ho mai conosciuto, perché negli anni Venti non c'ero ancora. Cerco un'identità di questo secolo proprio in quell'epoca".
Razmataz è un avventuroso viaggio nella macchina del tempo, un viaggio in un mitico altrove ("il mito, il viaggio", ha affermato Conte, "è il colore delle mie canzoni, è il fattore cromatico").
Un grande viaggio indietro, un incantesimo, come cantava, al ritmo trascinante dello swing, in Gong oh (qualche anno prima, nell'album 900), dove l'apparizione, nella notte blu, di questo spirito lontano, di questo fantasmatico compagno musicista, resuscita tutto un mondo, un'epoca leggendaria, un paradiso perduto, con il suo bel linguaggio di una volta. E insieme le sue (di Conte) radici, la sua indole "nera", selvaggia, sensuale, dionisiaca, la sua barbarica baldanza (tanto per citare un verso di Un'altra vita):
Ci manca il pubblico va bene
Ma io e te siam due grandi artisti
E Insieme diam spettacolo, del tutto Illogico
Sillabico è per me
E sensuale, invisibile, teorico
[...]
Quando arrivi tu
Io rotolo, mi srotolo e mi arrotolo
E intanto aleggia, evocato, nel blu che adesso fuori è quasi rosa, il fantasma di Chick Webb, "rintocca" questo gong di romanzo.
Razmataz, centocinquanta minuti che raccontano la storia dell'incontro della Vecchia Europa, assetata di esotismo, con il jazz e il blues, con la giovane musica nera, a Parigi, negli anni Venti. Gli anni delle avanguardie artistiche, dell'Europa con gli occhi sgranati a contemplare, ammirata, il mito americano.
È anche uno spettacolo d'arte varia. Per questo progetto faraonico, mastodontico ("megalomane", lo ha definito l'autore stesso), Conte ha realizzato, nel corso degli anni, in più di trent'anni, 1800 disegni (calchi, citazioni, invenzioni, divertimenti ...) con incursioni nel futurismo, nell'astrattismo, nel dadaismo, utilizzando tecniche varie (carboncino, tempera, schizzo a matita, colore a olio, acquerello...). E poi: testi scritti in cinque lingue, la storia (dialoghi, "costumi", sceneggiatura...), uno splendido, suggestivo commento musicale.
"Ho seguito l'antico "chi fa per sè fa per tre". Un lavoro durissimo, ma molto divertente. La pittura è il mio vizio più antico. Prima ancora della musica. Gran parte dei duemila disegni erano già pronti. Per la storia mi sono lasciato guidare dai personaggi che avevo in testa".
Ed è una storia, Razmataz (dal libro omonimo, del 1989), piena di fascino e di mistero, ammaliante e insieme vagamente "gialla"; meglio, un po' "enigmatica", algebrica, tanto per stare ad alcune parole chiave della sua poetica.
Tra echi letterari, teatrali, del music hall, del vaudeville, del cabaret, visi muove una varia umanità, personaggi curiosi, geniali, cialtroni, esotici, grotteschi: ricchi commercianti di senape, impresari, ballerine, cantanti, musicisti neri americani... E, accanto a loro, "personaggi più o meno emblematici": il commissario di polizia (che un po' ricorda Maigret), il gentiluomo sportivo inglese, lo stilista di moda francese, il viveur italiano, la scrittrice di romanzi del mistero, la cantante espressionista berlinese ("il personaggio a cui mi sento più legato"). Razmataz è anche il nome della ballerina nera scomparsa, che tutti cercano e che diventerà la regina di Parigi.
La reine noire S'balance dans son Pouvoir la dame
S'enflamme dans son miroir
La belle pense: Furieuse chance ... La danse Commence
Pour les arbres qui S'élèvent sur la
Nuit claire...
(La reine noire)
Una ballerina, Razmataz, che ha le "movenze" e l'appeal di Josephine Baker, dea assoluta nell'Olimpo dei miti contiani; anche se diverse, "opposte", sono le loro "storie", come chiarisce Conte: "In Razmataz c'è l'immagine della Baker.

Ma la sua storia è in un certo senso opposta. Razmataz incarna la novità dell'America. La Baker è partita così, ma è presto diventato un fenomeno tipicamente francese, anzi parigino. Josephine Baker era un'americana del Sud, ma le hanno subito spostato l'accento, messo un gonnellino di banane e confezionato canzoncine tropicali, come fosse dei territori d'Oltremare, facendone un fenomeno esotico, direi turistico, se vogliamo tenero, con l'isola e la savana. I francesi sono così, ti offrono la douce France, ma in cambio ti vogliono cambiare i connotati. Nel mio piccolo, ci hanno provato anche con me, cercando di farmi fare lo chansonnier".
Sullo sfondo l'amata Parigi degli anni Venti, una città "rifugio di artisti da sempre, capace come nessun luogo della terra di far incontrare culture diverse". Parigi che per prima spalancò le porte all'America, alla sua musica, al suo cinema, ai suoi miti. Mentre da noi, in Italia, il fascismo riesumava invece ben altri, vetusti e polverosi miti; quelli fasulli e di cartapesta di una Roma imperiale, latina e littoria, e il paese intero affogava nell'isolamento e nell'autarchia (culturale, non solo economica), nella retorica imperiale e nel provincialismo strapaesano. E allora sì, tanti paris, / sì molti paris...
Oui, beaucoup D'Paris, oui tant de Paris
Tant de Paris dans la tête d'quelqu'un Tant de Paris dans la main d'quelqu'un Tant de
Paris dans le charme D'quelqu'un,oui beaucoup de Paris...
Paris...
(Paris, les Paris)
Paolo Conte ha sempre amato quell'epoca di mélange e di lussureggiante malia, di creatività e di vitalità esplosive, sul versante artistico come anche su quello scientifico e tecnologico. Eterno, inguaribile ragazzo-scimmia, vive da sempre sotto le stelle del jazz. E come canta Francesco De Gregori in una splendida canzone, Jazz, appunto, che è anche un "tuffo" in un'altra dimensione, la nostalgica e poetica rievocazione di quel mondo mitico, dove "perfino l'amore è più bello/a livello di jazz", dell'avvocato potremmo dire: Quell'uomo ha vissuto sotto i colpi del jazz. Ma ascoltiamolo, De Gregori:
Qualcuno avrebbe dovuto tuffarsi nel jazz
Lontano dagli occhi del mondo volendo in un'altra città
Altri portici ed altri portoni
Dove anche il buio è diverso da qua
E perfino l'amore è più bello
A livello di jazz
E la pioggia è più tiepida sotto l'ombrello del jazz.
Fa' che duri il tempo, fa' che giri lento, fa' che scorra il pianto
Fa' che mi conosca e che mi riconosca quando mi vedrà
Cantando con gli occhi come solo lei sa, cantando e ballando al ritmo del Jazz...
Jazz: "Il fascino di una musica che cattura quattro gatti sparsi in giro per il mondo qua e là. La scoperta di un nuovo tipo estetico", afferma Conte. Accanto, a fargli compagnia, i fantasmi consolanti di tutta una galleria di straordinari, leggendari musicisti e cantanti: da Jelly Roll Morton a Fats Waller, da Sidney Bechet a Coleman Hawkins, da Teddy Wilson a Jonny Dodds, dal primo Duke Ellington ("poi ha avuto pretese eccessive di sinfonismo") a Sophie Tucker ("la mia cantante preferita") da, soprattutto, Art Tatum a Louis "Satchmo" Armstrong, la sua icona, un'icona: "La rivoluzione del jazz è in quei toni caldi la cui magia è nell'imitazione della voce umana. La tromba e la voce di Louis Armstrong hanno lo stesso timbro dolce-amaro".
Cavalcando il tempo con affettuosa e sfrenata immaginazione, Paolo Conte si è perso così sui sentieri ammalianti e intriganti dello swing: "Quanto allo swing, nessuno è mai stato capace di definirlo. È un dondolio ritmico che ha ascendenze africane ma è in relazione profonda con la parlata americana. Un ritmo che ha rivoluzionato la musica, perché esprimeva un tratto fondamentale della vita contemporanea, l'instabilità. Gershwin diceva: viviamo in un'epoca di "staccato".
"Un jazz", quello amato da Conte, "epico e romantico, con un senso del fatale che non ritroveremo più". Il jazz dei pionieri, insomma, riproposto in un'atmosfera rarefatta da Cotton Club, non quello che "da Lester Young in poi privilegierà l'aura da artista maledetto" o un certo "clima" freddo, intellettualistico, cerebrale, sofisticato.
Una musica con dentro "la gioia di vivere e il senso della vita", la sensualità delle vite disperate; e quelle orchestre di una volta che si dondolavano come un palmizio davanti a un mare venerato. E il jazz diventa, nell'immaginazione di Conte, un cane giallo, che passeggia, nel rimpianto, in una città rossa, città nera, città blu... o un uomo invisibile, perso in un vagone di nebbia:
Jazz was a yellow dog
Walking in a red town, black town Jazz was a yellow dog
Walking in a red town, black town There you're in a misty wagon Invisible man...
(The yellow dog)
Avvertiamo qui l'influenza, nella sua arte (nella sua musica, nella sua poesia, nella sua pittura) del futurismo e delle avanguardie pittoriche di Kandinskij, di Klee, di Marc. Questo cane giallo mostra soprattutto una forte parentela con quei famosi cavalli azzurri di Franz Marc (ad esempio nel quadro Il sogno) che Hitler condannò.

"Attraversa" gli stessi paesaggi dell'anima dove, come in Marc, appunto, regnano un ritmo costruttivo futurista, un brillante colorismo (il Dvd è, in tal senso, estremamente esemplificativo, un autentico "quadro musicale", ha sottolineato Vincenzo Cerami) e, per dirla con lo storico dell'arte Renato Barilli, "il culto delle figure animali". E sono anche, questi cavalli, una delle immagini più significative del movimento "Der Blaue Reiter (Il cavaliere azzurro) che è anche il titolo di un brano di Razmataz.
Ha scritto Paolo Jachia, in un saggio sulle Avventure della parola cantata: La canzone d'autore italiana 1958-1997: "Si parla molto di jazz in Conte, ma anche di rumbe, di habanere, di milonghe, di ritmiche swinganti anni Trenta, di accenni bandistici od operistici. Va precisato però che tutto questo intrecciarsi di musiche e atmosfere diversissime fra loro fa parte sempre di una ricerca unitaria di esotismi, di segnali cifrati, che vanno così anch'essi ricondotti a una strategia complessiva ("la poetica metafisica dell'altrove") e non letti isolatamente".
E ancora: "Dobbiamo dire dunque che, da Stradella al Mar Baltico, dalla Liguria alle Hawai, la poetica di Paolo Conte è una poetica metafisica o di "realismo trasfigurato", dove con metafisica si intende una poetica che attraverso il richiamo di un'immagine attinente al reale - descrive in effetti una dimensione ulteriore, un posto mitico e primigenio dentro di noi".
Questo "posto mitico e primigenio", questo supremo, ideale "altrove", è per Conte, oltre le dolcezze dell'Harry's bar e le tenerezze di Zanzibar, oltre le illusioni di Timbuctù e le gambe lunghe di Babalù, soprattutto, ormai lo sappiamo bene, l'America, "un posto esotico e ingombrante della mia fantasia". E l'America, infine, lo ha incoronato, ricambiando tanto amore. Nel 1998, la più importante rivista musicale statunitense, la prestigiosa Rolling Stone, ha infatti inserito il suo The best of Paolo Conte nella lista dei cinquanta migliori dischi dell'anno, con queste sapienti e appassionate parole: "Cantante, compositore e pianista, Paolo Conte è italiano per nascita, unico per personalità. La sua voce ha la rovinosa urgenza di Tom Waits e l'aplomb autunnale di Leonard Cohen. Nelle parole e nella musica, Conte esalta ogni piega e ogni più ovvio intrigo dell'amore con incantevole delicatezza: astute citazioni di Duke Ellington filtrate con la sensibilità di Kurt Weill; il risultato sono il solenne dolore del suo piano in Max, il piacere dell'ultimo gelato dell'estate usato scherzosamente come metafora del ritmo stagionale di una relazione sentimentale, il modo in cui descrive lo sguardo elettrico di una donna in Come di". E ancora: "Star in Europa da oltre due decenni, Conte esegue il suo Best nella lingua madre [...] ma questo è un problema culturale del tutto irrilevante. Il significato di ogni magia di questo disco è abbondantemente chiaro".
Ma è tempo di concludere questa cavalcata nell'universo poetico e musicale di Razmataz. Lasceremo allora a lui, al Maestro, la scena, per l'ultimo brano e per l'applauso finale.
Razmataz, nome buffo e onomatopeico, figlio forse di quei suoi famosi e bizzarri zazzàrazzà, di quegli imperscrutabili rantoli e mormorii dell'anima, sbuffati nel microfono con sardonica nonchalance, con quella sua voce di carta vetrata, roca, ruvida, "sporca", rugginosa, impastata dal fumo di mille sigarette, una voce che "gratta" le parole e "graffia" l'anima.
Ed eccolo, dunque, Paolo Conte, Supercharleston, signorilmente in smoking, esibire tutto il suo charme, il suo carisma alla Humphrey Bogart. Qualcuno ha scomodato, per definire il suo stile, Gary Cooper, o Cary Grant; opterei invece ,appunto, per il mitico Rick di Casablanca, col suo naturale disincanto, la sua sublime eleganza, il suo fascino magnetico da "duro dal cuore tenero".

E poi sedersi al piano, con quella faccia un po' così / l'espressione un po' così, il naso triste come una salita, i baffi malinconici, la maschera ironica e un po' selvatica; piegarsi obliquo (come "obliqua" è la sua "cifra" di artista, la sua poesia in musica) come una marionetta, sotto i riflettori, in un'atmosfera da spectacle africain. E attaccare, partire, decollare...
E infine congedarsi, con il lungo sogno verde (it's a green dream) orchestrale di Mozambique fantasy, un'inedita ouverture in chiusa d'album, un brano di luminosa, sontuosa bellezza, grondante sensualità e visionarietà:
Ladies and gentlemen,
Messieurs-dames, le spectacle africain va terminer...
Merci...qui vive la nuit...j'ai deux amours, mon pays and Paris...On vous laisse dans
les Bras du vent...
...On vous donne Mariam... elle est à vous... Nous, on y va... mais, vous, Achetez nos
disques,
La voix phonographique qui vient de l'Amerique...Raz-Ma-Taz... thank You...
Sotto le stelle del jazz
Ma quanta notte è passata
Marisa, svegliami, abbracciami
E' stato un sogno fortissimo