
Fuoriclassifica
CONSIGLI DI LETTURA
a cura di Maurizio Minnucci

Può la depressione accompagnarsi all'ironia e allo sguardo divertito del depresso stesso? Può eccome. In questo romanzo il depresso, dopo lungo pellegrinare fra i medici, si rivolge a uno psicanalista ma lo racconta con ritegno, perché la cosa è di moda ed è pure costosa. Inoltre osserva che, «a parte che si paga, la psicoanalisi è un po' come la confessione, ossia non servirebbe a niente se uno non andasse a raccontarvi la verità».
L'autore nacque a Mogliano Veneto nel 1914 e morì a Roma nel 1978. Di famiglia modesta, studiava con il rimorso di pesare sui genitori, prima con profitto, poi svogliatamente. Il padre gli disse che non avrebbe continuato a pagare e il rapporto irrisolto e doloroso con il padre accompagna dall'inizio alla fine questo libro, che è un romanzo ma è anche quello che l'autore ha direttamente vissuto.
Berto mette in evidenza il suo debito con Carlo Emilio Gadda e con Italo Svevo, che sente alle proprie spalle mentre scrive. Gadda, che firmerà pure una prefazione, ispira anche il titolo, con il suo La cognizione del dolore, un dolore interno che impedisce di agire e anche di scrivere (il romanzo di Gadda non fu mai completato), ma non impedisce di guardare a sé stessi anche in modo giocoso.
Una malattia, un dolore annidato nella memoria, nel rapporto con il padre, nelle paure e ossessioni del sesso, in quelli che chiama «torbidi stimoli segreti». Così la psicoanalisi. Ma poi Berto scrive: «Non ci credevo e temo di non crederci neanche adesso». In ogni caso il protagonista torna alla fine nel mondo dei sani, salvo scoprire di avere le corna. Si ritira in Calabria, dove scrisse tutto ciò.
In una succosa appendice l'autore fornisce il suo punto di vista critico sullo scrivere e sul cosiddetto neorealismo, al quale fu assimilato per le prime opere e che considera una mera reazione al fascismo, coronata però dal fallimento. Ed è anche da questo fallimento che trova innesco la depressione così come, sostiene, in quello va anche cercato il motivo del suicidio di Cesare Pavese. Un'esplorazione di sé che riguarda tutti e in cui ciascuno, un po', si ritrova.