Scritture scriteriate

Il prigioniero

A volte è provocatoriamente stimolante leggere un vecchio libro. Magari un libro sfuggitoci o rifiutato aprioristicamente per pregiudizio verso l'autore o l'argomento. Fra i tanti che vengo leggendo mi è capitato quello pubblicato per i tipi di Rizzoli da Mattia Feltri quasi vent'anni fa: Il prigioniero. Storia breve di Adriano Sofri.

Un volumetto d'agile lettura per stile e numero di pagine, suddiviso in due capitoli: Il prigioniero, appunto, e Il viaggiatore. Pur in poche pagine, spesso quasi semplici appunti di ricordi e cronache, molti spunti ancora attuali, forse anche premonitori.

Intendo fornirne solo alcuni per invogliare a leggere tutto il libro, perché ognuno vi trovi i propri spunti di analisi e ne possa trarre personali considerazioni.

Innanzitutto la condizione dell'essere in carcere, dove contrariamente a quanto si possa pensare non v'è davvero tempo libero per dedicarsi a qualcosa che difenda dalla noia, che sia motivo di riscatto intellettuale, che affini doti di pensiero e quindi, se vogliamo, anche di autocritica. Nel carcere, anche in quello più ben gestito di Pisa ove Sofri scontava la sua pena, il tempo è spezzettato, la continuità è costantemente interrotta, la notte è vissuta sotto l'assedio delle luci accese ogni un tot. Al risveglio il rumore delle chiavi sulle sbarre. E non è la condizione dell'eremita che interrompe la sua attività (che sia di meditazione o lavoro) ad ogni suono di campana che lo richiama alla liturgia delle ore. Non è paragonabile perché l'eremita è libero nella autoreclusione scelta, praticata, vissuta e lo scandire delle ore è di fatto non tanto un richiamo, ma un aiuto a meglio vivere la missione liberamente scelta. Il carcere è altro e altri sono gli escamotages che il prigioniero deve inventarsi per mantenersi umano.

Mi piace inoltre confrontare questa condizione con quella condivisa da Sofri a Sarajevo durante la guerra: una città assediata dove (anche qui) sono scanditi i momenti della giornata per la sopravvivenza, fisica innanzitutto. Fra le molte pagine tremende quelle in cui racconta del momento migliore (meno peggio in realtà) per recarsi a fare rifornimento di acqua: la notte. E anche in questo caso con qualche pericolo per le donne e i bambini che venivano ammazzati dai cecchini. In certo modo gli abitanti sono reclusi nella città e Sofri con loro.

Questo sito, come sapete, si occupa molto di scrittura e di libri. E allora voglio terminare citando un passo del libro che trovo a pagina 53, sempre nel capitolo Il viaggiatore:

"D'inverno il freddo non si poté più combattere adeguatamente. A Sarajevo finirono gli alberi, che la gente abbatté per alimentare le stufe a legna. Un anziano docente universitario mise mano alla libreria. Usò i volumi per scaldare la famiglia. Prima quelli della propaganda serba, poi i manuali, infine i romanzi, con gran dolore."

Non so voi, almeno quelli di voi che hanno un amore quasi viscerale per i libri, ma io ho provato a immedesimarmi in quell'anziano professore che finché ha potuto ha cercato di salvare non oggetti materiali, o feticci, ma strumenti di elevazione spirituale. Anche per queste poche righe secondo me merita leggere questo libriccino, purtroppo attuale per tanti altri motivi che non svelo, ma che potete immaginare.