Altro che discoteche!

22.08.2020

Riguardo alla chiusura delle discoteche, negli ultimi giorni alcuni personaggi pubblici hanno dato il meglio di sé. A parte il fatto che le discoteche non andavano riaperte e che la responsabilità dell'aumento dei contagi è di tutti, giovani compresi, sentire politici dire che il governo se la prende con i giovani è quanto di più sbagliato e fuorviante. Dire una cosa del genere equivale a fomentare la reazione di una determinata parte sociale contro il potere organizzato, il quale in questo momento, che sia di mio gradimento oppure no, sta lavorando per il bene comune. E non solo. Sostenere simili affermazioni significa dire che il divertimento vale più della vita di quegli stessi giovani. La discoteca prima di tutto. Il divertimento prima della salute.

Il punto della questione, però, non è divertirsi o meno, ma imparare a prendere le precauzioni per convivere in mezzo agli altri. Sei mesi fa in questo Paese tutto si è fermato. Tutto. Tutti hanno dato il loro, si sono sacrificati con il fine unico di avere salva la vita. Ci sono stati 35mila morti e 200mila contagiati a confermarlo. Ma questo non importa perché "gli italiani hanno diritto a divertirsi".

Ho detto a un mio conoscente che forse di questi tempi è il caso di andarci piano, di rinunciare a qualcosa, di evitare assembramenti, cene, contatti, se non altro per rispetto di tutti quei morti. Ho ricevuto una risposta sconcertante: «Macchisenefrega! Io voglio divertirmi, non voglio perdere neanche un minuto della mia vita». Tutto ciò è triste. Ma c'è una spiegazione. Se siamo diventati così la colpa è solo in parte la nostra. E' il prodotto di vent'anni di cattiva politica, disinvestimento culturale e dibattiti televisivi trasformati in osceni spettacoli di marchette e promesse, che ha dato alla luce una classe dirigente inadeguata che si rivolge al pubblico come un mercante si rivolge alla propria clientela.

Peccato che la politica non sia un mercimonio ma un esercizio collettivo di responsabilità, due cose ben distinte che producono conseguenze totalmente differenti. Quando si occupano determinate posizioni nella società, ogni dichiarazione è una bomba ad orologeria. Se posso accaparrare il voto dicendo loro che il governo li punisce e non li protegge, anche se ciò ne vale l'equilibrio sociale, devo farlo. Al diavolo le conseguenze.

Non conta trovarsi nel mezzo di una pandemia, non conta il ricordo delle terapie intensive stracolme e dei 5000 contagi giornalieri. Tanto il virus non tornerà. È un po' come il pericolo del Fascismo. Tanto Mussolini è morto, quindi non c'è pericolo. E intanto la seconda ondata del virus è certificata dai 3000 casi in Francia e i 1500 in Germania.

La memoria. Quella parola con cui tutti ci sciacquiamo la bocca nelle ricorrenze. La memoria. Il grande problema di questo Paese è proprio la memoria. Peccato, perché i camion di Bergamo dovrebbe essere un'immagine evocativa stampata nella mente di tutti gli italiani che ora chiedono di potersi strusciare in discoteca o ingozzare in qualche fottuta Apericena. Le fotografie di coloro che una volta venivano considerati eroi, cioè medici e infermieri, che invitavano a stare a casa perché la situazione era grave, ebbero un grande impatto mediatico. Ma noi italiani siamo fatti così, dopo un po' ci stufiamo della solidarietà e delle regole e chiediamo a gran voce i nostri diritti, mentre i doveri non fanno parte della discussione perché è lo Stato a doversene preoccupare.

Un Paese incapace di imparare dal proprio ieri non potrà mai avere un domani. E con una pandemia in corso è legittimo chiedersi, data l'incertezza, come sarà questo domani. Invece di fomentare gli elettori stanchi e disattenti, la politica dovrebbe spiegare questo. Altro che discoteche!