Cosa resterà?

23.06.2022

Una canzone di tanti anni fa si chiedeva cosa sarebbe restato degli anni Ottanta, del decennio tutto lustrini, paillette, tv commerciali e debito pubblico in grande allegria. Domanda che può essere rivolta anche a ciò che resterà, almeno in Italia, di una lunga stagione populista che avrebbe dovuto aprire scatole di tonno, rivoltare il mondo, rivoluzionare la politica e invece si ritrova a raccogliere i cocci di un partito che fu di maggioranza relativa e oggi colleziona disastri elettorali in sequenza.

Non ho memoria delle tante espulsioni disciplinari, degli abbandoni per sopraggiunta disillusione e delle mini scissioni fino all'addio di Luigi Di Maio, una delle anime del Movimento grillino folgorata sulla via di Draghi, ma con lui se ne sono andati in sessantadue fra deputati e senatori, mica bruscolini. Anche se il tramonto del grillismo appare inarginabile, il populismo non è finito, cerca solo nuovi metodi espressivi e nuove aggregazioni.

Persa anche la sponda leghista con la profonda crisi identitaria del salvinismo, alla corrente politica che caratterizzò i turbolenti mesi del Conte 1 resta la versione sovranista e nazionalista, di gran moda e fortuna in questi mesi con le scaltre e astute prese di posizione di Giorgia Meloni, sempre pronta a picconare il governo da unico partito di opposizione ma intelligente nel sostenerlo in politica estera e sulla guerra scatenata da Vladimir Putin contro l'Ucraina. Va detto, però, che a restare è soprattutto l'inconsistenza di qualsiasi altro progetto che voglia porsi in alternativa al populismo sempre pronto a rialzare la cresta, a eleggere nuovi idoli e ad abbracciare nuove battaglie. Basta guardare la situazione in Francia e fare attenzione alle proteste sindacali in Gran Bretagna, che rischiano di tramutarsi in veri e propri moti sulla falsariga delle battaglie anti-Thatcher degli anni Ottanta.

Servirebbe un progetto politico in grado di proporre al Paese una strategia e una visione da contrapporre ai modelli populisti e a quelli sovranisti oggi con il vento in poppa. Invece, il nulla. Solo stanche ripetizioni di soluzioni sempre uguali che partoriscono situazioni di ingovernabilità. Ma ai partiti tutto sommato va bene così: la competizione elettorale di fatto già aperta regalerà qualche mese di grande protagonismo mediatico, poi si voterà e si vedrà. A volte mi sorge il sospetto che tutti si muovano con una sorta di riserva mentale, scommettendo di riuscire a fare il "colpo" nelle urne ed ergersi a dominus della prossima legislatura. Male che vada ci sarà sempre una figura di garanzia - un Draghi o un Mattarella - a cui aggrapparsi quando ogni fantasiosa soluzione dovesse essere evaporata.

Una ristrettezza di visione insostenibile mentre il Paese è chiamato alle gravi responsabilità della guerra in Europa e ad affrontare una complessità economico-finanziaria da non sottovalutare. Il giochino di ignorare i problemi e poi addossarli ad altri - c'è sempre una "comoda" Europa a disposizione - non dovrebbe incantare più nessuno, ma non ci scommetterei e soprattutto non ci giocherei il nostro futuro prossimo.