Faber est quisque fortunae

13.12.2022

Forse ci metteremo a ridere quando ricorderemo la stagione dei bonus, anche se il conto lo pagheremo e non solo in fatto di soldi. Fra i tanti bonus - dal monopattino alle terme, dallo psicologo alle biciclette - quello relativo alla cultura elargito ai diciottenni, merita un posto di rilievo. La tecnica è quella adottata con il Reddito di cittadinanza: nella coalizione di destra c'è chi aveva votato a favore, poi in campagna elettorale aveva promesso cancellazioni drastiche e una volta al governo si sono trasformate in modifiche: in che consistano non si sa. Se cambiare significa dare il bonus cultura solo ai "bisognosi" si riaprono due questioni: 1. gli italiani che finanziano regali e sconti sono gli stessi che non possono averli; 2. in compenso se ne giovano gli evasori fiscali.

Il dibattito continua. Perché darlo a 18 anni? Se si tratta di agevolare la lettura o le frequentazioni teatrali, potrebbe essere dato già a 14 o 16 anni. Perché li facciamo diventare maggiorenni? Un tempo diventare maggiorenni significava rispondere di sé stessi, e questo non dovrebbe consistere nello spendere ma nell'orgoglio di guadagnare, posto che lavorare non deve significare necessariamente lasciare gli studi.

Temo si voglia premiare l'impegno messo nel cercare di non morire prima di quel compleanno perché da quel momento si diventa anche elettori. Naturale che tantissimi diciottenni abbiano utilizzato in modo appropriato il regalo, ma ovvio anche che - trattandosi di soldi consegnati mediante codici di spesa - siano fioriti raggiri e truffe. Dalle più banali (a me piacciono i libri, a te le racchette, mi dai i tuoi codici per 500 euro e io te ne do per 400) a quelle che comportano falsa fatturazione (sempre per comprare la racchetta invece di andare a sorbirsi la palla teatrale). Finora siamo a 9 milioni di euro sprecati, che equivalgono a 18mila diciottenni diseducati a fregare lo Stato. Più i non scoperti.

Comunque non è corretto usare una devianza per condannare uno strumento degno e utile. Basta intensificare i controlli. Non credo però che sia possibile, perché se il bonus deve essere speso in cultura si apre un problema: cos'è 'sta cultura? Acquistare un libro di filosofia lo è, andare a teatro a vedere Amleto lo è, ma lo è anche acquistare un libro di ricette di cucina o andare a vedere un comico e sganasciarsi di risate? Non ci sono basi per negarlo. Così si giunge a un'idea antropologica di cultura connaturata a ogni umano comportamento, sicché non può essere negato che lo sia anche dipingersi la faccia. Perché, però, lo Stato dovrebbe pagarti se ti pitti le gote? Né la cosa potrà essere risolta affidando all'apposito ufficio ministeriale, sentita la competente commissione e ascoltato il battente ministro, il compito di definire la cultura.

Rientrando nella cultura ascoltare un tatuato stonato, acquisito che "bonus" è il residuato di una lingua morta e sono ancora aperte le indagini sulle cause non escludendosi il suicidio per depressione, forse sarà il caso di chiamarlo con il suo vero nome: regalo. La cui finalità ultima è insegnare ai cittadini, all'ingresso nell'età adulta, che allungare la mano per la mancetta di Stato è segno di libertà e non di sudditanza, che il soldo preso vale più del guadagnato, che i soldi pubblici non sono di nessuno e toccano a chi se li piglia e se qualcuno s'ostina a ripetere faber est quisque fortunae non dategli retta.

Che la cultura sarebbe materia d'attività scolastica da far funzionare meglio e con merito, o che alberghi in luoghi come le biblioteche, da diffondere e tenere aperte più a lungo trovando più acconcio uso a quei quattrini, sarebbe osservazione d'analogica noia e dimostrazione di non avere capito un accidente, perché i libri non votano, semmai i tipografi.