Fratelli di Maalox

05.02.2020

Il Paese sta inacidendo. Sta invecchiando male e non se ne rende conto, anche perché preda di una paurosa e biliosa narrazione populista nei contenuti e nei modi. Un Paese di zitelle inacidite e vecchi brontoloni. Stati d'essere o meglio di malessere che definiscono un'umanità che pur malinconica, fino ad oggi non aveva ancora manifestato i tratti patologici attuali.

Oggi infatti, si tratti di grandi questioni oppure di modesti contrasti quotidiani, i toni sono invariabilmente aspri, irritati, astiosi. Acidi, appunto. Un'acidità di chi è disturbato, non sta bene, vive male. Perché il malessere è permanente, non grave ma insistente, proprio come la digestione faticata e l'acidità di stomaco.

Curiosamente, forse per un riflesso della realtà, in questo periodo in tivù ci si imbatte continuamente in spot pubblicitari di farmaci contro l'acidità e la cattiva digestione, addirittura superiori a quelli contro la tosse, che in questa stagione dovrebbero essere al top. E allora i vari Maalox, Gaviscon, Biochetasi, per citare i marchi più reclamizzati, non solo sono l'espressione farmacologica ma anche la metafora di un Paese angosciato.

Il Ministero della Salute ha comunicato poco tempo fa che i medicinali contro il mal di stomaco assieme agli psicofarmaci hanno realizzato l'anno scorso le maggiori performance di vendita. Dati che ci restituiscono la fotografia di un Paese, di una società che ha la digestione tribolata, appesantita, perciò poco lucida e non incline a meditate prese d'atto che stiamo vivendo una fase di passaggio. Una fase difficile. Di transito accelerato verso una nuova epoca, forse addirittura un'era, che richiede, per riprendere ancora la metafora medica, non rimedi temporanei bensì analisi accurate e farmaci che intervengano sulle cause e non solo sugli effetti.

In altre parole, anziché antiacidi per lo stomaco molti italiani dovrebbero cominciare a mangiare meno e meglio. Ma non lo fanno perché cambiare abitudini è sempre un'impresa, e poi ci sono le pillole, che consentono di tenere sotto controllo pressione e disturbi digestivi pur continuando a mangiare troppo e male.

Allo stesso modo, se ci si riferisce alle manifestazioni di malessere nazionale, fra le più odiose, come l'intolleranza e l'insofferenza nei confronti dell'altro e dell'alterità (religiosa, razziale, ma anche economica e politica), ci si rende conto come manchi la consapevolezza che tale condizione sia ormai patologica. E in secondo luogo come non ci sia la volontà di cambiare radicalmente comportamenti, modi e metri di giudizio.

Questa incapacità di cambiare registro comportamentale viene ogni giorno confermata. Nell'ultima settimana ci sono stati eventi che se ci fosse un misuratore di acidità sociale, ci direbbe che siamo ai limiti massimi di tollerabilità, oltre i quali si cominciano a intravvedere preoccupanti segnali di degrado della convivenza e dei valori che devono sostenerla, al di là delle ovvie diversità di pensiero. Insomma, tutti assieme animosamente: gli avversari politici e il mal di testa, i migranti e il mal di pancia, i colleghi stronzi e un attacco di panico.

Di nuovo la pubblicità dei farmaci è un puntuale indicatore di un malessere che deve essere prontamente scacciato. E così la Cibalgina diventa Fast, un Moment agisce all'istante e non c'è lassativo o antidepressivo che non sia ad effetto immediato. E qui si palesano altri tratti umorali - impazienza e irrequietezza - che sono due potenti acidificanti della vita sociale, che si stanno diffondendo nei più disparati settori, per esempio nella gestione dei risparmi, dove noi italiani siamo in Europa i più impazienti, pronti a cambiare profilo di rischio a ogni minimo segnale di instabilità. Ma siamo anche più frettolosi nella vita d'ogni giorno, anche se la maggior parte del tempo libero lo trascorriamo davanti alla tivù (dati Istat 2018), e sempre più impazienti come pazienti (nonostante un discreto servizio sanitario nazionale) al punto da scagliarci contro il personale sanitario, al minimo errore o ritardo, come mostrano le cronache di aggressioni fisiche a medici e infermieri.

Ma dove questa acidità, scaturente dalla miscela di irritazione, insofferenza, fastidio e malessere, raggiunge il massimo di distruttività, è quando il confronto diventa scontro. Perché il terreno su cui si misurano i diversi punti di vista e visioni del mondo e della vita diventano le identità di etnia e di genere, le convinzioni e appartenenze politiche, gli orientamenti sessuali, i diritti civili e di cittadinanza, cioè quando entrano in gioco e in discussione i sentimenti profondi e gli orientamenti di valore e culturali. E qui le questioni si fanno serie e preoccupanti, come mostra la recrudescenza di razzismo, xenofobia e antisemitismo. È di pochi giorni fa la presentazione del Rapporto Italia 2020 curato da Eurispes, che offre un dato pazzesco: il 15,6% di italiani non crede alla Shoah. Ma il Rapporto dello scorso anno aveva già segnalato come la maggioranza dell'opinione pubblica ritenga che l'antisemitismo non sia un tema preoccupante, anche se un altro sondaggio (Euromedia) rileva che discriminazioni e intolleranze nei confronti degli ebrei siano in sensibile aumento.

Non so voi, ma personalmente questo aumento di acidità del Paese mi inquieta. Comincio a sentire mal di stomaco.