Great Generation

14.02.2023

Ora che Sanremo è finito e Marco Mengoni ha vinto, mi sorge una domanda: si vincono anche soldi? Pare di no, il guadagno è tutto in visibilità, vendite di dischi, passaggi radiofonici, moltiplicazione dei concerti e prestigiosa partecipazione a Eurovision Song Contest - e, naturalmente, il vincitore entra nella storia del Festival. Tutte cose di cui Mengoni non ha bisogno, avendole già ottenute tutte nel 2013, Eurovision compreso - dove arrivò solo settimo a causa dell'inveterata allergia paneuropea alle canzoni intimiste e agli interpreti dal look minimalista. Sono sicuro che anche quest'anno l'Eurovision ce lo scordiamo, mentre con Rosa Chemical o al limite con i Cugini di Campagna avremmo avuto più speranze).

Comunque la si pensi su Mengoni, bisogna dargli atto di avere una voce strepitosa, una delle poche all'altezza delle grandi ugole del passato. Come decibel e intonazione siamo dalle parti di Al Bano, per intenderci. È che a Mengoni manca tutto il resto. E non mi riferisco a Romina, alla quale lui non sarebbe comunque interessato nemmeno se fosse ancora l'adorabile ninfetta degli anni d'oro. Alludo all'infanzia povera, alla lotta per la vita, alla tavola sguarnita che hanno prodotto non solo Al Bano, ma anche Morandi e Ranieri e in genere la Great Generation della nostra musica leggera: tutta gente bassa di statura a causa della carenza di proteine nobili rispetto a Mengoni e compagni, ma con una tempra sbalorditiva - si è visto nella seconda serata del Festival, quando i tre vegliardi si sono mangiati l'Ariston e tutti i giovincelli sul palco.

Il discorso vale anche al femminile con Mina, Orietta Berti, Ornella Vanoni e l'immarcescibile Iva Zanicchi, oltre alle rimpiante Milva e Raffaella, sbocciate in uno show-business ben più ottuso e sessista di quello di oggi, che si erano conquistate già a meno di trent'anni un'autorevolezza e un potere che le popstar italiane di oggi se lo sognano. Nemmeno Laura Pausini, con la sua splendida carriera e i suoi successi internazionali, può dettar legge in tivù e nei concerti come facevano le dive della canzone italiana degli anni Sessanta e Settanta. E ancor meno lo possono fare le pur bravissime Elisa, Giorgia, Emma, Elodie e compagne.

Forse questo dovrebbe essere il compito delle matriarche della canzonetta: non solo mostrarci quanto sono invecchiate bene, ma spiegare alle loro nipotine come si fa a farsi sentire, oltre che sul palco, anche dietro le quinte, negli uffici di registi, produttori e discografici. Come infischiarsene di risultare simpatiche, carine e sempre magre, o di avere un'ineccepibile vita privata - Raffaella che non si è mai sposata e Mina ragazza madre ai loro tempi erano ben più trasgressive dei Maneskin. E chissà, forse potrebbero insegnare qualcosa anche a Mengoni.