I cigni neri

11.06.2021

Se in Africa nasce un grande scrittore e nessuno se ne accorge, la terra non smetterà di ruotare. Ho detto Africa ma avrei potuto dire San Benedetto del Tronto. Forse aveva ragione Umberto Eco quando diceva: «Se il vicino di casa di Proust fosse stato più bravo di lui e nessuno se ne fosse accorto, ha poca importanza, perché per l'umanità Proust basta e avanza». Che è come ammettere la fallibilità umana e anche un certo disinteresse individualistico di cui noi tutti, soprattutto oggi, siamo un po' vittime e un po' carnefici.

Spesso il nostro giudizio si muove all'interno di condizionamenti e pregiudizi che si sono formati nel corso della vita, con influenze di persone a cui si attribuisce un certo credito e che crea un "effetto gregge" verso cui nessuno di noi è completamente immune. Quante volte in una discussione tra amici abbiamo dato ragione a un individuo rispetto a un altro su un certo argomento solo perché faceva quella professione, senza pensare che l'altro potrebbe avere avuto un'intuizione geniale e abbia potuto cogliere spunti originali più di quanto non possa fare chi è abituato a bazzicare un certo ambito e quindi a muoversi all'interno delle convenzioni che lo governano. Casi rari, certo. Eppure accadono. Soprattutto in letteratura.

Herman Melville, l'autore di Moby Dick, era considerato dai suoi contemporanei uno scrittore da quattro soldi. Il suo romanzo passò completamente inosservato. Solo un secolo dopo venne riscoperto e oggi è considerato un classico della letteratura mondiale. I contemporanei di Melville si sbagliavano? Non sono stati in grado di cogliere i prodromi di una svolta letteraria? Il loro gusto non era maturo per quel genere di composizione? Chi può dirlo. Ma casi come questi ce ne sono parecchi.

Il Gattopardo, il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, vinse il Premio Strega l'anno successivo alla morte del suo autore. Mentre era in vita la sua opera fu rifiutata da tutte le più importanti case editrici italiane, e pubblicata postuma da Feltrinelli grazie all'interessamento di Giorgio Bassani. Tomasi di Lampedusa era uno sconosciuto appassionato di letteratura che cercò di far pubblicare il proprio romanzo inviandolo a diverse case editrici. Elio Vittorini, che all'epoca era consulente editoriale della Mondadori, lesse e bocciò il manoscritto. Fu uno dei più clamorosi errori di valutazione che la storia della letteratura italiana ricordi. Ma andiamo avanti.

Natalia Ginzburg leggeva i manoscritti per Einaudi e Cesare Pavese era il direttore editoriale. Arrivò sulla loro scrivania un manoscritto intitolato Se questo è un uomo. Il suo autore si chiamava Primo Levi ed era uno sconosciuto ebreo sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti. Si usciva dalla seconda guerra mondiale e di storie che raccontavano l'Olocausto ce n'erano parecchie. Il rifiuto fu secco. Venne pubblicato da una piccola casa editrice con una tiratura minima e il libro fu notato da un certo Italo Calvino, che dopo averlo letto disse: «questo è un capolavoro». E non si sbagliava, perché di tutti i libri italiani che raccontano quella storia, Se questo è un uomo oggi è considerato un testo sacro, gli altri non si ricordano nemmeno più.

Però anche Calvino fu autore di un clamoroso rifiuto, quello di Guido Morselli, un autore che non tutti conoscono e che morì suicida senza essere riuscito a pubblicare un solo libro. Per tutta la vita cercò di far pubblicare i propri romanzi ricevendo sempre rifiuti, e non solo da Calvino ma dall'intero panorama editoriale dell'epoca. Il motivo che ha ritardato il suo riconoscimento letterario è quello di essersi scostato dalla linea tradizionale del romanzo italiano: in una parola, stava innovando. Dopo la sua morte uscì un articolo sul Corriere della sera in cui fu definito «uno dei più grandi scrittori europei». Dopo la morte fu trovata una cartellina in un cassetto della sua scrivania con scritto a matita: "Rapporti con gli editori" con un fiasco disegnato sul frontespizio. La sua opera fu integralmente pubblicata postuma da Adelphi e fa parte dei programmi universitari della Facoltà di Lettere.

Esempi di questo tipo sono moltissimi: Giuseppe Berto, autore di un vero capolavoro, Il male oscuro, fu rifiutato diverse volte prima che un critico convinse la Rizzoli a pubblicarlo. Fu il caso letterario dell'anno e vendette ben 100 mila copie (un numero impressionante per l'epoca), vincendo nello stesso anno il Premio Campiello e il Premio Viareggio.

E sono tanti anche i casi stranieri di eclatanti rifiuti editoriali: da Stephen King a Garcia Marquez, da Marcel Proust a James Joyce. Pensate che prima di scartarlo, Virginia Woolf definì l'Ulisse «un romanzo di una noia mortale». Lolita, il celebre romanzo di Nabokov, fu rifiutato da tutti e pubblicato solo da una piccola casa editrice specializzata in romanzi erotici. Stephen King collezionò un numero spaventoso di rifiuti prima di diventare un autore mondiale di bestseller.

Avrei potuto intitolare questo articolo "Rifiuti Eccellenti" ma lo scopo non era quello di sciorinare un elenco di clamorosi errori di valutazione, quanto ribadire l'inevitabilità del pozzo profondo da cui è necessario emergere per avere successo letterario. Non è solo questione di fortuna. Non è solo questione di bravura. Non è solo questione di moda o della capacità di scrivere cose aderenti all'interesse dei contemporanei. Sono i cosiddetti "cigni neri" che ogni tanto passano e non sempre riusciamo a riconoscerli in tempo. Tutto questo può farci urlare all'ingiustizia, può farci morire senza che nessuno si accorga che siamo dei grandi scrittori, ma state tranquilli, la terra non smetterà di ruotare.