La strage dell'avidità

04.06.2021

Nella sua Teoria dei sentimenti morali, Adam Smith spiega come "la fonte dei disordini della vita umana deriva dalla sopravvalutazione di una situazione sull'altra". Le persone dominate dalla vanagloria, dall'ambizione, dall'avidità, se lasciate al costante rimuginio sopra le proprie doti e i propri obiettivi, possono "disturbare la pace della società" pur di raggiungere la situazione alla quale sentono di dover tendere e in qualche modo di avere diritto. Mentre i fatti restano ancora da chiarire, la tragedia di Stresa è diventata il pretesto per raccontare una "strage dell'avidità", e questo possiamo già vederlo dal modo con cui viene trattata sulla stampa italiana, dai titoli dei giornali. Il giorno dopo la strage, destra e sinistra unite, per una volta la prima pagina di Repubblica somigliava a quella di Libero.

Leggendo la storia di Luigi Nerini, il gestore dell'impianto, mi sono reso conto della sua inadeguatezza, un imprenditore raffazzonato, un precario dell'imprenditoria al quale non sono mancate in passato iniziative fallimentari. Uno che ha ereditato una bellissima e antica villa sul lago Maggiore dalla nonna ma che non può mantenere, e che guarda - dal basso - le famiglie proprietarie di altre ville di Stresa, quelle che i soldi ce li hanno davvero. Il pover'uomo se la deve essere passata male in un anno di lockdown, come tutti coloro che provano a campare di turismo. La sua non è un'avidità grandiosa, quelle che eccitano l'immaginazione popolare e i vendicatori delle diseguaglianze. E' il desiderio che tutti abbiamo di migliorare la nostra situazione, di guadagnare un po' di più, di sentirci un po' più sicuri. Fino a qui tutto comprensibile, ma se ciò gli ha annebbiato il giudizio, se per soldi ha messo a repentaglio la sicurezza degli utenti dell'impianto che aveva in gestione, forse è perché sopravvalutava il sollievo, la tranquillità e la soddisfazione che gli avrebbe offerto una situazione economica migliore. Questo non lo so, ma non sarebbe inimmaginabile. Se tutti puntiamo il dito contro Nerini è perché simpatizziamo profondamente con le famiglie delle quattordici persone che a Stresa hanno perso la vita, perché ci immedesimiamo col loro dolore, perché ci tremano i polsi a pensare a un bambino che dovrà crescere senza il padre che l'ha salvato col suo abbraccio.

Ma se fossimo onesti con noi stessi, dovremmo anche ammettere che non ci è difficile metterci nei panni di Nerini, condividerne l'ansia per il futuro e pure il bisogno di affermazione, capire (senza assolvere) quella furbizia che sembrava un "rischio ragionato" e che invece è andata male, malissimo, e per cui dovrà pagare. Vivremmo tutti meglio se riuscissimo ad apprezzare ciò che abbiamo, ad accontentarci del nostro, a non trasformare le nostre ambizioni in ossessioni. Però siamo fatti in modo diverso e l'equanimità che ci porterebbe a stimare meglio i vantaggi della nostra situazione, la nostra relativa prosperità rispetto alle generazioni precedenti e ai poveri del mondo, è una virtù rara. Noi tutti ci inganniamo per quel che può darci la ricchezza e la fama, e per la società in genere è un bene che sia così, perché quell'autoinganno ha alimentato anche le grandi scoperte, le grandi innovazioni, i grandi romanzi.

Siamo tutti, a nostro modo, avidi, non solo Luigi Nerini. Lo eravamo nella Roma Imperiale e lo siamo nell'Italia del Covid. Fare di Stresa un'occasione per biasimare l'avidità, insinuando che sia un attributo esclusivo del sistema capitalistico, è un esercizio detestabile e sociologicamente errato. Semmai riflettiamo sul fatto che la ricerca del successo dovrebbe essere contemperata all'autocontrollo, virtù molto rara e di cui spesso ci facciamo beffa. L'economia di mercato è quel sistema nel quale per arricchirci dobbiamo fare qualcosa per gli altri, ma nessun sistema trasforma gli uomini in angeli, gli uomini restano quelli che sono, e se l'ansia di sottrarsi al fantasma della povertà spinge alcuni a truccare le carte, è anche vero che ogni giorno spinge milioni di persone a fare diligentemente il proprio lavoro.

Davanti ai disastri e alle tragedie, davanti al male che capita e ci segna, smettiamola di fingere che sono i "sistemi sociali" a compiere scelte sbagliate. I "sistemi" possono contenere o enfatizzare i comportamenti, ma nessuno ci garantirà mai l'immunità da scelte che hanno esiti indesiderabili. Le scelte le fanno le persone, persone come voi e come me.