Che vuol ch'io faccia del suo latinorum?

04.07.2022

«Che vuol ch'io faccia del suo latinorum?» sbotta Renzo quando don Abbondio gli elenca gli "impedimenti dirimenti" che si mettono di mezzo al suo matrimonio con Lucia: error, condicio, votum, cognatio, crimen.

Ci saranno molti ragazzi, nati e cresciuti in Italia e culturalmente italiani, che leggendo questo passo de I Promessi sposi si identificheranno in Renzo Tramaglino e vorrebbero inveire contro il latinorum con cui lo Stato ingarbuglia la questione della loro cittadinanza: ius soli, ius sanguinis, ius culturae, ius scholae. Formule esoteriche che assomigliano agli incantesimi di Harry Potter, con la differenza che le formule del maghetto funzionavano subito, mentre tutti questi iura (plurale) sono solo nuvole di fumo.

Esprimere in una lingua morta un diritto destinato a gente viva è già un'ingiustizia, tanto più grottesca in quanto non si parla di diventare cittadini dell'Impero romano ma dello Stato italiano, che cerca di scacciare il latino dalle scuole superiori in quanto inutile perdita di tempo ma poi - sorpresa! - lo ricicla proprio quando si tratta di integrare i ragazzi che frequentano quelle scuole.

Nessuno se ne fa più niente del latinorum, tranne i politici quando devono bisticciare su una questione che dovrebbe essere stata già risolta dalla logica e dal buon senso: chi è nato in Italia o ha frequentato le scuole in Italia è italiano, punto e basta. I sondaggi dicono che oltre il sessanta per cento degli italiani è d'accordo, e l'entità di questa maggioranza dice chiaramente che comprende anche gente che non vota a sinistra. Pure la CEI si è pronunciata a favore, eppure si pensa che lo ius scholae non abbia nessuna possibilità di passare prima delle elezioni politiche del 2023.

Per Salvini (forse perché in cattivi rapporti sia con lo ius che con la schola) è un tema identitario, che significa più o meno: se dico che sono d'accordo non sono più Salvini e gli elettori possono credere che all'improvviso sia diventato una persona sensibile e intelligente. Va bene agitare il rosario nei comizi, ma dar retta ai vescovi quando chiedono più integrazione non se ne parla nemmeno. «Vogliamo dare la cittadinanza alle baby-gang?» ha tuonato il Capitano, che spera così di recuperare una credibilità liquefatta dalle figuracce in campo internazionale (gli pseudo-viaggi a Mosca, gli abboccamenti segreti con l'ambasciatore russo e il cazziatone del sindaco polacco).

Accidenti! Mafiosi, camorristi e 'ndranghetisti non sono baby-gangster, molti non sono andati neanche a scuola e parlano in maniera incomprensibile, eppure ci tocca considerarli nostri connazionali. Se avere la cittadinanza è un premio per la buona condotta, dovremmo depennare dall'anagrafe milioni di italiani. Potrebbe essere una buona idea. Oltretutto si creerebbero nuovi spazi per ragazze e ragazzi che studiano, lavorano onestamente e parlano un italiano molto più corretto e fluente di parecchi politici. E non è detto che non sappiano anche il latino meglio di loro.