Le parole che vogliamo dimenticare

24.05.2020

Quest'anno, oltre al cambio di stagione, particolarmente stressante, se ne aggiunge un altro, quello del vocabolario. Non si tratta solo di archiviare giacconi e cappotti, ma anche di mettere via parole, espressioni, perifrasi e luoghi comuni che tutti abbiamo usato negli ultimi mesi e che speriamo di non dover più usare per molto tempo, dato che sono legati a un evento che ha sconvolto le nostre vite e buttato a gambe all'aria tre quarti del pianeta.

Ne cito qualcuna a caso, cominciando dal tampone, che fino al febbraio scorso indicava un tipo di assorbente interno oppure un semplice esame batteriologico a cui sottoponevamo i bambini con la tonsillite. Adesso, oltre che dalla gola, ci esce anche dalle orecchie a forza di sentirlo citare, invocare, positivo, negativo, doppio o triplo, centinaia, migliaia, milioni di tamponi.

E la parola asintomatico. Un concetto altamente destabilizzante: mi sento bene ma potrei essere malato, anzi, senza saperlo potrei aver contagiato decine di persone, e ad alcune di loro magari non è andata liscia come a me. Insomma, potrei essere un assassino, un serial killer involontario, un pericolo pubblico che ha agito indisturbato seminando morte e distruzione.

Non vediamo l'ora di escludere dagli argomenti delle nostre conversazioni i vari virologi o infettivologi, tanto più che in tre mesi molti non hanno ancora capito qual è la differenza fra le due specialità, anche se fanno il tifo per l'uno o per l'altro come fossero squadre di calcio.

Altre espressioni che sarebbe bello mandare in soffitta sono le perifrasi coniate e diffuse dai media ed entrate nell'uso comune durante la fase 1. Andrà tutto bene ha commosso il mondo, ma ha mostrato la sua debolezza già dopo le prime settimane di lockdown, quando abbiamo cominciato a infamare il vicino che portava il cane a pisciare a 210 metri da casa. Liquidato abbastanza presto anche il Ne usciremo... da completare a piacere: ne usciremo migliori, peggiori, uguali a prima, oppure, per i più dubbiosi, sospeso a un punto di domanda: ne usciremo?

L'unica cosa certa è che ne stiamo uscendo più poveri, anzi, siamo usciti da una pandemia per entrare, senza soluzione di continuità, in una crisi economica e sociale nerissima dall'uscita lontana e incerta. Nel lessico di questi mesi ha resistito un po' più a lungo la natura riconquista i suoi spazi, usato all'inizio come didascalia per le immagini di animali selvatici in giro per le città deserte, poi parodiato in mille modi.

Ma dal 18 maggio la festa è finita e la natura è stata sfrattata: l'uomo metropolitano ha rapidamente riconquistato i suoi spazi, o meglio, è tornato a condividerli con piccioni e ratti, che saranno meno carini di cervi e delfini ma fanno parte anche loro della natura.

Dovremo usare ancora per un po' le parole che ci aiuteranno a tenere sotto controllo un morbo che gironzola ancora fra noi, ad esempio sanificazione e distanziamento sociale. Ma da queste prime ripartenze pare che gli italiani, tanto bravi durante il lockdown, ora si siano spaccati in due: una metà diligente che sanifica e distanzia, l'altra che si assembra spensieratamente e porta la mascherina appesa al braccio, come se il Covid-19 si trasmettesse attraverso i gomiti.

Incrociamo le dita e speriamo che il virus si sia stufato di noi quanto noi di lui e preferisca riconquistare i suoi spazi nella pancia dei pipistrelli. Perché altrimenti fra due-tre settimane dovremo rispolverare tutte le parole che volevamo dimenticare.