Ma anche no

10.03.2023

Uno dei peggiori difetti del politico è quando dice «ma anche…». Prendiamo il caso della drammatica questione della guerra in Ucraina. A chi giustamente le chiedeva su quale linea avrebbe portato il Partito democratico dopo la sua elezione a segretaria, Elly Schlein ha risposto che «il Pd sosterrà la continuazione dell'invio di armi a Kiev, ma anche...». È ovvio che intendesse sottendere che occorre perseguire anche una via diplomatica. Non è la sola ed è cosa buona e giusta, ma anche lei, come tutti, compresi Giuseppe Conte e il compagno Landini (che da segretario della Cgil si dovrebbe preoccupare dei tanti contenziosi contrattuali ancora aperti), utilizza questa formula che, in buona sostanza, sta a significare «un po' di qua e un po' di là».

Questo «ma anche» comporta a mio avviso una sostanziale deresponsabilizzazione, un non voler prendere posizioni forti e chiare lasciandosi retoricamente una via di fuga, un'alternativa percorribile a seconda dello sviluppo degli eventi. Questa locuzione sottintende quel modo di dire entrato nella conversazione informale per dichiarare la non disponibilità ad accettare un invito. Quindi si può interpretare come un «ma anche no». Mandiamo gli aiuti a Kiev, ma anche no. Così accontentiamo tutti.

La questione non sta solo a sinistra… ma anche a destra, dove è ben nota la differenziazione di posizioni sul tema da parte di Salvini e soprattutto di Berlusconi. Il valore pragmatico può essere dunque quello di un rifiuto guardingo: anziché opporre un rifiuto netto, ricorriamo all'attenuazione. Un po' come quando, per non deludere l'entusiasmo del mio interlocutore, rispondo «magari domani». Per usare una metafora musicale, è come se quel «anche» messo davanti al «no» funzioni come un bemolle che abbassa il tono dell'esclamazione. Viceversa, quando diciamo «assolutamente no» è come se mettessimo davanti al «no» un diesis che innalza l'enfasi. Ricordo che qualche anno fa il settimanale l'Espresso titolò: «Il Pdl ha vinto, ma anche no», cioè un'affermazione seguita da una parziale rettifica.

«Bisogna aiutare, soccorrere gli immigrati, ma anche perseguire gli scafisti». Lo dicono tutti. Ma mentre sappiamo cosa fare per il soccorso (almeno dovremmo saperlo), nessuno osa dire che per colpire gli scafisti occorrono complesse operazioni di polizia internazionale concordate con Turchia, Libia, Siria, Afghanistan, Pakistan e vari Paesi africani. Un'illusione? Ma anche no.