Mistero buffo

04.01.2023

Il Pd rimane un mistero. Buffo, ma pur sempre un mistero. Per molti anni è stato al governo senza vincere le elezioni e la cosa gli è stata rinfacciata più volte, ma in fondo era solo invidia perché implicitamente si ammetteva che da quelle parti si mangiava pane e politica. Poi è accaduto qualcosa: la vittoria della destra con la prima donna presidente del Consiglio che non viene da sinistra ma da destra. Uno choc. Un cataclisma. Un cortocircuito. E il Pd è diventato un partito destabilizzato. È andato letteralmente in bambola. Non ci ha capito più niente e ha inanellato una serie di fesserie fino a rasentare la celebre terza legge della stupidità umana enunciata da Carlo Maria Cipolla, che per l'occasione si può riformulare così: un partito stupido è un partito che causa danno a un gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé. Sto esagerando? Per niente. È la fotografia del Pd.

Si potrebbe dire: sono fatti loro. Mica tanto. Sono anche fatti nostri. Infatti, senza un'opposizione seria le democrazie non funzionano. Lo diceva anche l'attuale presidente del Consiglio al tempo del governo Draghi: «Rimaniamo all'opposizione perché una democrazia senza opposizione non è una democrazia». Ecco, il Pd si troverebbe nella medesima opposizione. Solo che non ha ben capito che l'opposizione non deve farla a sé stesso ma al governo.

A guardare la cronaca politica dal 25 settembre in poi si rimane stupiti: sconfitta politica, sindrome congressuale, scandali tra Bruxelles e il Qatar. Così il Pd si è destabilizzato mentalmente fino a diventare una maionese impazzita, un'insalata russa, una macedonia greca, un arcobaleno senza pace. Eppure non ci vorrebbe molto a ritrovare la giusta via: il riformismo. Ma vuoi vedere che proprio questo è il tasto dolente della destabilizzazione? La sua origine. Gli errori del passato si pagano. Con gli interessi. Se il Pd invece di trasformarsi in una sorta di asso pigliatutto avesse imboccato l'unica strada possibile per essere una sinistra moderna, ossia il riformismo, a quest'ora non si troverebbe a rincorrere il vuoto demagogico di Giuseppe Conte né si dilanierebbe nella disfida tragicomica tra Elly Schlein e Stefano Bonaccini, in cui l'unica cosa che si capisce è che, come cantava De Gregori, non c'è niente da capire.

Non avendo imboccata quella strada e, anzi, avendola evitata e osteggiata - prima in odio a Bettino Craxi, poi in odio per Matteo Renzi - ora il Pd da un lato non è né carne né pesce e dall'altro avverte il richiamo della foresta dell'anticapitalismo e dell'egualitarismo. Ma a fronte di questo disastro prima culturale e poi politico non c'è nessuno ma proprio nessuno che abbia la forza politica e la lungimiranza culturale di porre la questione nei giusti termini. Così la destabilizzazione mentale, a meno di colpi di scena che all'orizzonte non si vedono, è destinata a diventare permanente.

Forse è una vicenda politica scritta nel Dna della storia d'Italia, dove il riformismo è sempre stato perdente rispetto al massimalismo. Ma più che una storia, sembra essere ormai una maledizione, perché a sinistra - dove si invoca sempre una destra normale - non si è stati ancora capaci di dar vita a una sinistra normale.