Non saremo sconfitti dal virus, ma dalla paura del virus

22.04.2020

Le parole sono importanti, sia in tempi tranquilli che in tempi difficili. I pensieri, i progetti, il futuro, prendono forma e si sostanziano attraverso le parole. Le parole che si scelgono per nominare e descrivere gli eventi, ci aiutano a capirli o a non capirli correttamente. E di conseguenza scegliendo parole imprecise si dà sfogo a sentimenti imprecisi.

"Infermieri in trincea", "medici in prima linea", "combattere contro il virus", "eroi che si sacrificano", "bisogna sconfiggere il virus", "piani economici di emergenza", dobbiamo installare un'applicazione che monitori ogni spostamento, un elicottero della guardia di finanza che insegue un uomo che ha commesso il peccato di passeggiare su una spiaggia, e addirittura qualche paladino della giustizia minaccia di ricorrere ai lanciafiamme. No, non è un romanzo di George Orwell, ma l'inquietante sonno della ragione che pervade la comunicazione, che si infiltra in una cupa quotidianità.

Il linguaggio costruisce le parole, le parole fabbricano il pensiero. E il modus cogitandi di oggi si inerpica sull'esasperato vocabolario bellico, a tratti aberrante. Il germe della guerra è stato iniettato in ognuno di noi ed è l'unico ad aver assunto l'aspetto più virale (e contagioso) possibile. Percepiamo il nostro simile come un nemico da cui "distanziarci socialmente", contro il quale utilizzare l'arma della diffidenza; idolatriamo lo Stato di polizia e vorremmo militarizzare ogni cosa.

Siamo morbosamente attratti da una belligeranza che crediamo di ossequiare semplicemente stando in pigiama, profondendoci nell'illusoria dimensione dello smart working, rimpinzandoci di pranzi e cene luculliane (puntualmente fotografati e condivisi sui social), genuflettendoci adoranti alla liturgica autocrazia della scienza, trionfante su tutta l'informazione.

I nostri schermi sono invasi e invasati da virologi con personalità bipolare, con latenti complessi narcisistici, che millantano teorie da dilettanti come verità ieratiche, per poi smentirsi pochi minuti dopo: le mascherine non sono importanti, le mascherine sono determinanti, basta la distanza sociale, non basta la distanza sociale, è poco più di un'influenza, è poco meno di un raffreddore... e guai a contraddirli, il loro verbo è sacro. Persino il potere legislativo si è smarrito, e se il virus si divide in tanti ceppi, lui ha deciso di suddividersi in tanti Dpcm, pavoneggianti chimeriche promesse, guarda caso non bellicose, in ragion delle quali "il domani sarà sempre migliore". Peccato che il domani preveda questa tanto decantata "fase 2" mentre il numero di morti dondola sempre tra le stesse cifre.

La verità è che siamo tutti inconsapevoli, tutti imbrigliati in una valanga di ottenebranti notizie, che non fanno altro che distogliere l'attenzione dal vero e autentico problema: il nemico non è il virus, ma l'intorpidimento sociale ed economico che ne seguirà. Se in passato qualcuno disse: "Atene non fu sconfitta dalla peste ma dalla paura della peste", oggi mi sento di dire che non saremo sconfitti dal virus ma dalla paura del virus. Nuoteremo tutti in un oceano grigio, come il colore delle mascherine che saremo costretti ad indossare, quasi ad omaggiare un'agghiacciante forma di anonimato; tutti in balia di uno spietato autoritarismo che si maschera da apprensiva protezione.