Non ti preoccupare, ci penso io

Tutti abbiamo letto Il giovane Holden di Salinger, tutti sappiamo chi sia. Il sedicenne Holden Caulfield è il figlio di una famiglia americana benestante. Non sopporta l'ipocrisia e ha una fottutissima paura di crescere, regole ed etichette sono le paure da cui vuole scappare. Il Natale è vicino, la scuola un moltiplicatore di noia e i compagni non sono troppo stimolanti. Viene espulso dalla scuola per cattiva condotta, prepara le valigie e parte per New York, dove cerca di capire dove vanno le anatre quando il laghetto di Central Park diventa gelato. Intanto i genitori ignorano che il figlio vaga in giro per la città alla ricerca di un tetto. Siccome del libro sappiamo tutto e questa non è una recensione letteraria, voglio solo dire che oggi il nostro giovane Holden sarebbe ancora chiuso nella sua stanzetta e probabilmente non sarebbe stato neanche espulso dalla scuola, perché grazie al controllo dei genitori si sarebbe comportato bene e avrebbe superato tutti gli esami.
Sarà forse vero che gli esami non finiscono mai, ma oggi vediamo eserciti interminabili di genitori gridare al mondo i voti e le performance scolastiche dei propri figli. Si aggirano ogni giorno come carcerieri tra esercizi di matematica, sintesi di italiano, versioni di latino e capitoli di storia, senza neanche concedere l'ora d'aria ai figli perché sarebbe una drammatica e puerile concessione ai propri doveri. Passano le notti a studiare i programmi universitari anche se i figli hanno appena perso il primo dentino. Sui loro telefonini troneggiano decine di app per vedere dove vanno i figli anche quando il percorso più lungo è quello che passa tra la cameretta e il bagno.
Non ce ne rendiamo conto ma con il perverso tentativo di preservare i nostri figli dalle più o meno sensate insidie, gli stiamo togliendo la capacità di smarrirsi, di farsi male, di sperimentare, di mettersi in gioco. Stiamo crescendo una generazione di rimbambiti con la pelle liscia e il corpo senza cicatrici. Gli inibiamo ogni possibilità di fallimento - che si tratti di prove da superare o semplicemente di giochi in cui misurare la propria audacia - siamo sempre accanto a loro, sempre pronti a togliergli le castagne dal fuoco, a tirarli su di morale con il prosaico «Non ti preoccupare, ci penso io». Critichiamo la loro passività da social network ma gli stiamo costruendo un "Truman Show" in cui tutto sembra corretto, gli diamo le chiavi ma il percorso lo studiamo noi nei minimi dettagli. Niente errori, niente umiliazioni, qualsiasi tipo di angoscia viene puntualmente eluso. Genitori rigorosissimi quando devono fermare una lentissima altalena e pronti a perdonare ogni tipo di nefandezza, ne ho visti alcuni entrare in crisi per un «No!» gridato in un momento di leggerezza.
In questa meravigliosa vita programmata la noia non è contemplata; responsabilità, frustrazioni, ostacoli e mortificazioni sono stati d'animo da evitare o al massimo da vedere in un documentario seduti sul divano con accanto un bel cestello di popcorn. «Ho fallito, non importa, riproverò, fallirò meglio» scriveva Beckett. Nel nostro caso niente panico, anche stavolta il fallimento sarà controllato dai genitori.