Ok boomer

05.05.2021

Negli ultimi tempi ho concentrato l'attenzione su un'espressione ormai diventata quasi uno slogan, un meme per la Rete: «Ok boomer», pronunciata con un mix di sufficienza, supponenza e intento liquidatorio. Della serie: «Ok vecchio, hai detto la tua ma ora togliti dalle palle», pronunciata dalla generazione dei trentenni incazzati con noi "boomer", la generazione del boom economico.

Se concentriamo l'attenzione sui Paesi benestanti, si tratta di un sentimento diffuso a livello planetario, tanto da rendere legittima l'espressione di "guerra generazionale". Ma qual è l'accusa che i trentenni rivolgono agli ultrasessantenni? Non intendo girarci troppo intorno: di avergli preparato un mondo di merda in cui vivere, un mondo in cui predomina la legge del profitto e della concorrenza esasperata, in cui i giovani possono soltanto sognare le tutele sociali perché per loro esistono soltanto flessibilità e precarietà. Quantomeno per quel novanta per cento di ragazzi che non provengono da famiglie benestanti.

La società che gli ultrasessantenni hanno lasciato in eredità, è anche quella dell'ecosistema sfruttato ai limiti della sostenibilità, quello degli animali sottoposti ad allevamenti intensivi e trattamenti brutali. E non finisce qui. La società odierna è anche impregnata di "valori" o comunque di una cultura in cui i trentenni non si riconoscono: una società omofoba, sessista, razzista, che ti etichetta come nero, gay, lesbica, donna in senso negativo e discriminatorio. I trentenni vogliono battersi contro i residui di maschilismo, per i matrimoni gay, per colmare il "gender gap", perfino per superare quelle fastidiose forme di violenza psicologica come il "cat calling", cioè il voler richiamare l'attenzione di una donna per strada fischiando manco fosse un animale.

Ha suscitato clamore un video (uno dei tanti) del rapper Fedez, in cui rivendicava la perfetta legittimità che il figlio maschio potesse - volendo - giocare con le bambole, vestirsi come una donna, truccarsi col rossetto, eccetera. Tutte battaglie civili a cui spesso i trentenni si sentono rispondere con frasi del tipo: «ci sono lotte più importanti, specie in quest'epoca di fortissima crisi sanitaria, economica e sociale». E proprio qui scatta l'espressione di cui vi parlavo: «Ok boomer».

Insomma, a essere in discussione è una larga parte del sistema valoriale dell'Occidente, sostanzialmente arrivato alla frutta poiché fondato su pilastri che promuovono discriminazioni, disuguaglianze, privilegi, violenza, etnocentrismo e mortificazione di tutto ciò che è diverso o non conforme al senso comune imposto dalla gerontocrazia dominante, con tanto di argomentazione finale che non lascia scampo: «cari (si fa per dire) boomer, se continuiamo a vivere seguendo il vostro sistema di valori, presto il pianeta non ce la farà più e allora sarà finita per tutti. Per cui fatevi da parte».

Per quanto mi riguarda, al netto di alcuni fanatismi buoni solo per i media in cerca di audience (si veda la farneticante "cancel culture"), è evidente che si tratta perlopiù di battaglie degnissime. Semmai a non convincermi è il metodo. Innanzitutto perché divide il bene dal male in maniera manichea: tutti i boomer sarebbero dei nemici dell'umanità e del pianeta, tutti i trentenni delle brave persone pronte a ristabilire onestà, giustizia, rispetto, eccetera, alla faccia della categoria hegeliana della "distinzione", fondamentale per cogliere la complessità del reale e mai come oggi dimenticata nella galassia banalizzante dei social in cui domina la logica binaria del mi piace/non mi piace.

Poi, per una duplice contraddizione (performativa, la definirebbe uno studente di Sociologia al primo anno): da una parte la netta suddivisione delle età e delle generazioni è un prodotto proprio della logica commerciale che si dichiara di voler combattere (millenial, boomer, generazione X o Z, tutte etichette di cui le multinazionali si servono per i propri target di vendita); dall'altra, l'operazione di etichettamento utilizzata è la stessa che si dice di voler combattere, e per di più si fonda su quella generalizzazione utilizzata ogni qual volta ci sia qualcuno da discriminare (gli ebrei, i neri, le donne, gli omosessuali e adesso i boomer, senza alcuna distinzione).

Il punto è questo: si può combattere un "male" utilizzando i suoi stessi metodi? Non si rischia, piuttosto, di compromettere la credibilità della propria battaglia? In questo modo non si rischia di dare l'impressione di voler semplicemente (e utopisticamente) sostituire una generazione con un'altra nella pretesa che quest'altra possegga tutte le carte in regola per risollevare nientemeno che l'umanità? È piuttosto sciocco attribuire tutti i mali a una generazione specifica, come se ogni tappa dell'umanità non fosse il frutto di un nuovo stadio evolutivo, quindi il prodotto di molteplici fattori che si sono intrecciati e sovrapposti di generazione in generazione. Cari trentenni, più che opinioni sono le basi della Sociologia.

Ma soprattutto, ha senso legittimare un nuovo elemento divisivo della popolazione quando ormai è evidente che ci troviamo di fronte all'ennesimo stadio della lotta di classe, ampiamente vinta da un capitalismo oligarchico e oppressivo? Applicando la logica sterile dell'«Ok boomer» non si fa altro che operare a favore di quest'ultimo o tutt'al più per chi cerca una facile ribalta mediatica.