Primedonne

28.03.2020

Si presenta sempre vestito con la polo dell'Anpas. È verboso, diplomatico, curiale, rilassato e sorridente: è il professor Fabrizio Pregliasco, uno dei medici passati improvvisamente dall'anonimato al divismo televisivo sull'onda dell'epidemia di coronavirus. Si è conquistato spazio e credibilità grazie alla sua capacità di attenuare ogni polemica e di smussare i toni, lui che dà ragione un po' a tutti e non si espone mai troppo. Benché venga sempre presentato come virologo, in effetti non lo è, perché è un medico specializzato in Igiene, direttore sanitario dell'Istituto Galeazzi di Milano, dopo aver svolto la stessa mansione all'Istituto per anziani dove Silvio Berlusconi scontò (si fa per dire) la pena ai servizi sociali.

Finora la sua pacatezza è stata scalfita solo dall'assalto verbale di Vittorio Sgarbi il quale, durante una puntata di Non è l'arena, chiese: «Chi cazzo è Pregliasco?». Pregliasco non si scompose e rispose a Sgarbi: «Lei è un irresponsabile e non dovrebbero farla parlare». Non si scompose nemmeno quando Massimo Giletti lo mise a confronto con Adriano Panzironi sul tema della vitamina C, che secondo il guru dell'alimentazione ci proteggerebbe dal virus. «Diciamo che è un coadiuvante del sistema immunitario» disse Pregliasco con aria sacerdotale.

Niente a che vedere con la vis polemica di un altro medico, il marchigiano Roberto Burioni, virologo a tutti gli effetti e docente universitario, uno che non le manda a dire e sembra trovarsi perfettamente a suo agio davanti alle telecamere. E' uno che si è schierato fin da subito (o quasi) su posizioni di allarme davanti all'espandersi del Covid-19, definendo "quella signora del Sacco" la sua collega Maria Rita Gismondo che aveva minimizzato la gravità dell'epidemia, attestandosi sulla teoria «è poco più grave di un'influenza». La stessa Gismondo, a dispetto di questa macro toppata, viene continuamente invitata in tivù, forse perché i talk show hanno disperatamente bisogno di primedonne da intervistare alla stessa stregua degli ospedali che hanno bisogno di medici e infermieri, e quindi va bene chiunque, purché sia fornito di quel poco o tanto di narcisismo che la platea televisiva solletica.

Decisamente disinvolta anche la virologa Ilaria Capua. Bella, fascinosa, elegante, rassicurante, la Capua non fa sparate, ragiona insieme al conduttore, ammette, con sofisticati giri di parole, che non si sa, che sarebbe interessante sapere, capire, ricercare, che forse sì, ma forse anche no, e che comunque ci vuole tempo.

Il cast dei virologi comprende anche il responsabile di Malattie Infettive dell'ospedale Sacco di Milano, il professor Galli, osannato da tutti quelli che apprezzano la schiettezza e già indicato da qualcuno come ideale ministro della Salute. Impagabile la sua espressione quando risponde alle domande facendo capire con lo sguardo «sto dicendo quello che posso e devo dire, ma ci sarebbe tanto da aggiungere...», però poi non resiste e ad ogni intervista trova il modo di levarsi qualche sassolino dalle scarpe, come quando ha elegantemente definito «sciocchezzaio» la proposta iniziale di Boris Johnson di promuovere l'immunità di gregge in Gran Bretagna.

Chissà se dopo il fatidico "picco", che tutti attendiamo con ansia, insieme alla curva dei contagi si abbasserà anche quella delle presenze dei medici in tivù a tutte le ore del giorno. Non prima, immagino, che ciascuno di loro abbia potuto dichiarare a una telecamera «Vedete? È proprio come avevo previsto io». Ma a quel punto noi saremo fuori, finalmente liberi per strada e col televisore spento.