Russians

09.03.2022

Negli anni Ottanta Sting cantava la canzone "Russians", vero e proprio manifesto delle paure e delle incertezze legate ai decenni della Guerra fredda, un'idea del popolo russo sovrapposto alle politiche di una leadership incartapecorita e ormai avulsa dalla realtà. Quando uscì la canzone di Sting, da pochi mesi era già segretario del Partito comunista sovietico Michail Gorbaciov, non ancora divenuto l'ammirato e leggendario "Gorby" dell'opinione pubblica occidentale.

Da lì a pochi anni, colui che sarebbe stato l'ultimo leader sovietico impose un'accelerazione impensabile al dialogo fra Est e Ovest, trasformandosi in un baleno in vera e propria icona in Occidente. A dirla tutta, quanto più in patria aumentavano dubbi e resistenze sull'applicabilità di glasnost e perestrojka, tanto più sul fronte opposto cresceva a dismisura la sua popolarità.

È difficile spiegare oggi a un ragazzo nato e cresciuto senza il Muro e senza l'incubo nucleare - almeno fino ai tragici e assurdi fatti di questi giorni - cosa abbia significato per la nostra generazione Gorbaciov. L'uomo della speranza, l'uomo della pace, il leader sovietico felice di mostrare in pubblico il suo amore incondizionato per la moglie Raissa, il segretario generale del Pcus pronto a stringere la mano di Ronald Reagan (che aveva definito il suo Paese «l'impero del male») facendo "scoppiare la pace". Ricordo che all'epoca eravamo increduli che tutto ciò stesse accadendo sul serio.

Tentennò molto e forse non valutò le inevitabili resistenze della società russa al suo programma di emancipazione dal giogo dell'era Breznev. Il suo stesso progetto era minato alle fondamenta dall'impossibilità di adattare un sistema marcio come quello sovietico al confuso embrione di democrazia e libertà che aveva ipotizzato. Non poteva funzionare e non funzionò, innescando il fatale processo autodistruttivo dell'Urss. Ancora oggi molti si domandano quanto seppe prevedere il fallito golpe del 1991 che decretò la sua fine, l'ascesa di Boris Eltsin e il dissolvimento dell'Unione Sovietica.

Di sicuro dobbiamo a lui la caduta del Muro, fu lui a decidere di non muovere un dito mentre i falchi - compreso un giovane ufficiale di stanza a Dresda di nome Vladimir Putin - chiedevano di far muovere i carri armati e fare una carneficina. Fu lui ad accettare il dissolvimento della cortina di ferro, assistendo senza reagire alla folla che dava l'assalto ai checkpoint di Berlino e distruggeva letteralmente pezzo dopo pezzo il simbolo della Guerra fredda. Per tutto questo, non può certo sorprendere che oggi "Gorby" sia amatissimo in Occidente e dimenticato in patria. Per tanti russi le sue scelte furono alla base della disgregazione dell'Urss. Oggi il 91enne Michail Gorbaciov tace, nessuna presa di posizione sulla guerra scatenata in Ucraina dallo zar.

Ricordare il simbolo della perestrojka, l'uomo-chiave per la fine della Guerra fredda, è tutt'altro che un esercizio accademico in un momento in cui si può cadere nell'errore di sovrapporre Putin alla Russia e viceversa. Pur con tutti i suoi limiti, Michail Gorbaciov ha cambiato la nostra vita, e allora l'Occidente lavori per trovare non un nuovo "Gorby" (la Storia non si ripete) ma una leadership che sappia andare oltre la visione imperialista di Putin, che vorrebbe riportare indietro l'orologio del mondo.