Whatever it takes

18.02.2021

Ha parlato quasi un'ora e in alcuni passaggi mi è sembrato decisamente più umanista dei suoi predecessori. Un discorso serio alle forze politiche alle quali stava chiedendo la fiducia e durante la replica ha spiegato che tutta la sua storia era qualcosa di minuscolo rispetto all'emozione per questo incarico. Non mentiva. Ha usato le parole allo stesso modo con cui ha sempre usato i numeri, ed è riuscito ad elevarle abbassandosi fino a scomparire ed apparire nuovo.

Dopo le tante assurdità che abbiamo dovuto sentire negli ultimi mesi, ascoltare il suo discorso è stato un sollievo. Perdonatemi la brutalità, ma a me pare che il suo intervento si possa riassumere così: l'euro è indispensabile, il bonus monopattini no. E poi c'è una frase, bellissima, che per un attimo mi ha fatto risentire italiano, una frase che ogni politico avrebbe voluto, almeno per una volta, pronunciare nella sua vita: "Il tempo del potere può essere sprecato anche nella sola preoccupazione di conservarlo", che diventa ancora più significativa in quanto pronunciata da un uomo che in passato è stato accusato di avere una calcolatrice al posto del cuore.

Draghi è un umanista perché l'umanesimo è l'origine della cultura moderna, che è una cosa antica, e in Draghi s'incontrano e si scontrano modernità e antichità, e questo si è capito quando ha detto: "Resilienza, come si dice oggi". E da buon umanista si sente responsabile del futuro dei giovani, e dice, con una rima da fare invidia ai migliori rapper: "Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta", e non li rimprovera, non dice che dovrebbero fare di più, che sono choosy, ma riconosce che "vi abbiamo deluso, non vi abbiamo dato quanto abbiamo ricevuto dai nostri padri".

Ha parlato di "ricostruzione nazionale" e di "spirito repubblicano" e ha anche detto che "l'unità non è un'opzione ma un dovere", un dovere tanto vasto e ambizioso che la politica ha compreso e quasi ne era spaventata. Per il suo governo ha scelto l'espressione "governo del paese" ma ha soprattutto avvisato Matteo Salvini che la partecipazione all'euro è irreversibile, e mentre lo diceva il signore seduto alla sua destra (Giancarlo Giorgetti) annuiva. Ma da oggi dovrà occuparsi dell'Italia, della sua resurrezione, e non ha tempo da perdere con Salvini.

Terminato il discorso ho spento la tv e sono andato via, e la sera non ho neanche atteso il voto di fiducia. Quanti i no? Era una domanda inutile. La fiducia non è solo una questione di numeri, Draghi ce l'aveva già a prescindere dalla quantità. Tutti citano il "whatever it takes" ma nessuno sottolinea le parole che seguirono, forse ancora più importanti e decisive: "Faremo tutto il necessario e, credetemi, sarà abbastanza", ed è quello che sperano tutti gli italiani. Vedrete, tenteranno di taroccarlo come fanno con i prodotti di successo, e l'unico pericolo per Draghi sono quelli che diranno "come dice Draghi", che è proprio quello che Draghi non direbbe mai.

A tempo o non a tempo che sarà il suo governo, la sua vocazione è larga: vuole affrontare i problemi da ciò che non si vede, dalle radici. Ragiona in ordine deduttivo, dal grande al piccolo, dal mondiale al nazionale, senza recidere niente, solo mostrandoci a cosa dobbiamo essere uniti, non incatenati, uniti.