L'ultimo baluardo della democrazia
Forse è una strategia di comunicazione con cui la Meloni vuole dimostrare con i fatti di avere preso le distanze dal fascismo. Fatto sta che mai come in questo periodo in Italia i treni arrivano in ritardo. Dal regionale al Frecciarossa, non si salva nessuno, e non si tratta di manciate di minuti ma da mezz'ora in su.
Altro che l'esplicito riferimento alle squadracce fasciste responsabili del delitto Matteotti: la testimonianza più lampante del ripudio da parte di Giorgia Meloni dell'eredità mussoliniana è la completa imprevedibilità degli orari di partenza e di arrivo dei treni. Non esistono più le coincidenze, ma solo le pure coincidenze, nel senso che se riesci a scendere in tempo da un treno per salire su quello successivo è una pura casualità, un benevolo scherzo del destino.
I motivi dei ritardi, annunciati in italiano e in inglese (siamo o non siamo in Europa?) dall'altoparlante, sono i più vari: solo la categoria "guasti" può declinarsi in almeno una dozzina di varianti, come pure "l'intervento dell'autorità giudiziaria", espressione che può sottintendere vari tipi di disgrazie. Gli annunci del primo tipo vengono accolti dai passeggeri per lo più con imprecazioni rassegnate o ululati di rabbia contro Trenitalia. Quelli del secondo genere suscitano reazioni meno immediate: si pensa subito a un suicidio o ad un investimento, eventi di fronte ai quali non è di buon gusto inveire o protestare, e le conversazioni con i vicini diventano podcast a base di morbose descrizioni di corpi maciullati. C'è chi la butta in politica dicendo che «oggi la gente è disperata», oppure chi va sul letterario rievocando il finale di Anna Karenina. I pendolari (di cui anch'io ho fatto parte), abituati a simili tristi evenienze, ci hanno fatto il callo e si limitano a sospirare rassegnati.
Una terza causa di ritardo è la «presenza di persone non autorizzate vicino ai binari», e qui l'esecrazione da parte dei passeggeri è generale, che i non autorizzati siano manifestanti pro-Palestina o squilibrati. Poi ci sono le cosiddette «varie ed eventuali», come un ministro dell'Agricoltura imparentato con la premier che obbliga il treno a una fermata supplementare, o le gite sui treni storici offerte alle first lady del G7 di Borgo Egnazia, che nei giorni scorsi hanno fatto saltare la circolazione ferroviaria di tutti i treni della linea Adriatica.
Eppure, malgrado tutto, mentre si consumano gli occhi fissando i tabelloni delle stazioni dove i ritardi di trenta minuti diventano di cinquanta e poi di ottanta, il morale dei viaggiatori resta alto, perché lo spettro del fascismo, con la mitica puntualità ferroviaria connessa al duce, gli sembra lontanissimo. I ritardi ferroviari sono l'ultimo baluardo della democrazia.