Scritture scriteriate

Le parole

Da circa un mese... Ah, dimenticavo che ai tempi nessuno ancora aveva sentito parlare di un certo Basaglia. Ebbene, da circa un mese era stato trasferito da un reparto al piano terra del locale manicomio, al quinto panico. Quando entrò nel reparto, accompagnato coi dovuti modi da due energumeni dell'ospedale coadiuvati dalla sculettante infermiera dai larghi fianchi, qualcuno gli bisbigliò, facendo attenzione a non farsi sentire dai tre accompagnatori, che quello era ormai il nome del reparto. Per l'appunto il quinto panico. Nei giorni successivi, nei rari momenti di quasi lucidità sottratta all'effetto delle dosi di farmaci, si era chiesto perché quel nome. Aveva anche trovato modo di informarsi con discrezione chiedendo ad un suo vicino di mensa, ma con risultati inattendibili. Quello gli aveva farfugliato qualcosa come piano, pericolo, no! no!, pericolo!, non lo faccio più!. Insomma, delirava, o quasi. Lasciò perdere. Non ne avrebbe cavato alcunché di utile o sensato. Ma il dubbio permaneva, e nelle notti spesso insonni (perché i farmaci facevano sì effetto, ma solo di giorno) la curiosità diveniva domanda assillante, nei sogni poi un mostro inquietante.

Poi iniziò a fare il furbo. A diminuire di nascosto le dosi di quei farmaci che imbambolavano e annichilivano. Ne ricavò migliori sonni, sogni a volte piacevoli, come quando si svegliò bagnato di sudore e altro per un incontro da sogno. Erano anni che non se ne faceva una così, e sia pure solo in sogno meglio che niente, e soprattutto la miglior cura all'insonnia visto che poi riprese sonno serenamente stanco e appagato e felicemente bagnato. Ma il risultato più importante, quello a cui era volta la sua decisione di ridursi di nascosto i farmaci, fu di poter considerare con più lucidità ciò che di giorno gli accadeva intorno. Risultò migliorata la sua capacità di considerare con un pizzico di razionalità le cose, i degenti e quanto dicevano, i comportamenti delle guardie e della culona. Riuscì anche a scoprire che certi anfratti del reparto erano il luogo ideale delle sveltine della fiancona. Ma le sue in parte riacquistate capacità di analisi si rivolsero alla domanda iniziale, quella che non aveva avuto risposta dal vicino di mensa e che non poteva certo rivolgere né agli energumeni né alla energumona.

La risposta, o almeno una parte di essa, gli si presentò casualmente un giorno in cui gli effetti della cura personalizzata raggiunsero l'apice. Fu una vera illuminazione. Era semplice, si disse mentre consumava lo stitico frutto di fine pasto. Dovevo pensarci subito, ma non potevo. E' semplice. Ho sottovalutato la parola. Le parole sono importanti. Me lo diceva la maestra, me lo ripeteva il professore di filosofia del liceo. L'esame di linguistica all'università mi aveva dato la verifica decisiva e incontrovertibile che le parole sono cose, che ogni cosa ha la sua parola. E poi gli aggettivi sì, ma i nomi? Mi sono fatto prendere troppo dall'aggettivo senza capire che era il nome a dargli significato, non il contrario. Primo, secondo, ottantunesimo possono non dire alcunché, ma se ci metto vicino piano, il discorso in parte cambia. Non del tutto. Quinto piano può essere semplice costatazione. Viene dopo il quarto e prima di sesto, sempre che il sesto sia stato costruito. Ma se parlo di quinto panico tutto mi si chiarisce non solo quanto alla posizione, ma quanto agli effetti. Perché dire quinto, come mi sono detto già, inerisce (inerisce? da dove mi viene questa parola astrusa? Lasciamo perdere) ecco riguarda la posizione del piano, ma se dico panico mi significa che quel piano (che potrebbe anche essere solo il secondo) incarna un che di tremendo e spaventoso.

Le considerazioni sono logiche, anche se di una logica tirata per il cappotto (o la giacchetta? Comincio di nuovo a far confusione), ma perché esattamente lo hanno così battezzato? Forse nel reparto si pratica la tortura? Oppure la somministrazione dei farmaci è di quelle che invece di quietare scatenano, il panico appunto? Forse che ci sono casi di violenza sessuale? Ma dove mai. Quattro o cinque pazzerelli svaniti e resi innocui dalle cure, per giunta non più giovani e prestanti? Oppure un fatto. Un fatto inconfessabile, da tenere nascosto. L'occultamento di una morte violenta, un degente con attacchi di panico che preso dal panico appunto (per motivi anch'essi inconfessabili, per responsabilità dei sanitari, anche dello psichiatra che a volte, ma poche volte, si faceva vedere in reparto ma per lo più per prendersi cura della fiancona) si era gettato dal, appunto, quinto piano?

Un guazzabuglio linguistico, una logica cavillosa che poco alla volta divenne in lui ossessione. Nei giorni successivi si ripeteva volte e volte la stessa domanda, ripercorreva i passaggi dell'analisi già spremuta fino a mal di testa. Da solo riprese le dosi massicce dei farmaci. Sentiva davvero di impazzire con reiterarsi della domanda e delle risposte che cominciarono ad accavallarsi impietosamente. Riprese così a non dormire la notte in camerata e deambulare il giorno in reparto. Evitava di accompagnarsi a chicchessia. Evitava di farsi domande. Evitava risposte non risposte. A volte sentiva che stava davvero impazzendo, così preferiva dormire, ma non dormiva. non pensare e non pensava più. Divenne il degente modello del reparto. A tal punto era migliorato negli standard tabellari del manicomio, che dopo un anno, ammansito (anzi autoammansitosi), gli riconobbero il diritto di essere promosso al piano superiore. Sì, perché nel frattempo i lavori di costruzione del sesto erano stati ultimati e il nostro linguista si trovò di punto in bianco al sesto ... panico.