Pausa Caffè

con Maurizio Minnucci

2 marzo 2023

Lettera aperta al Ministro Piantedosi

Preg.mo Signor Ministro, oggi voglio dedicare a lei questa pausa caffè, per ricordarle alcune cose che forse, con tutti gli impegni che ha, le saranno sfuggite.

Anche noi italiani affrontammo l'ignoto, il rischio concreto di perdere la nostra vita e quella dei nostri figli pur di inseguire il miraggio di un'esistenza degna di essere vissuta. Mi hanno colpito e, diciamolo, fatto male le sue parole, non tanto perché atte a rinfocolare l'ennesima polemica sulla tragedia epocale dei migranti, ma perché indifferenti alla Storia. La nostra.

I soccorritori che si sono lanciati nel mare in tempesta davanti a Cutro, hanno cercato di salvare quante più vite possibili e certo non avevano tempo per pensare a quanto ci fosse di "vicino" e riconoscibile in quel dramma. Quanto per decenni fummo noi italiani nel ruolo di ultimi fra gli ultimi, disprezzati, vessati, uccisi, ignorati, profughi, morti nell'indifferenza di mondi che non ci volevano. 

Un Paese immemore è un Paese destinato a replicare gli errori e a mancare gli appuntamenti con la Storia rispondendo di volta in volta alla pancia e alle parole d'ordine di chi ha vinto le elezioni. Ecco perché ricordare la storia dell'emigrazione italiana è fondamentale per affrontare il presente. Ricordare Ellis Island e il gigantesco fenomeno migratorio verso gli Stati Uniti ma non fermarsi solo a questo. Ricordare che anche noi fummo in decine di migliaia di casi immigrati clandestini: verso la Svizzera, la Francia e poi più a Nord per approdare in Germania o nelle miniere del Belgio. Clandestini e vittime di quelli che oggi chiamiamo, sorseggiando uno spritz o nei talk show, i "viaggi della speranza". Quelli che facevamo noi fuori da ogni regola, senza alcun piano che andasse oltre l'urgenza di sottrarsi a un futuro di miseria e sottosviluppo, per garantire ai propri figli un futuro decente.

L'abbiamo fatto noi e oggi proprio per questo appare insostenibile quel dito puntato contro i genitori che avrebbero messo a repentaglio la vita delle proprie creature affidandosi a scafisti senza scrupoli. Quando attraversavamo le Alpi a piedi ci affidavamo ai passeure (la dolcezza del francese non cambia la realtà delle cose), che erano solo la versione del tempo degli scafisti di oggi. Quando ci affidavamo ai capibastone che gestivano gli immigrati – carne fresca e forza lavoro a buon mercato – appena sbarcati negli Usa, in Brasile, Argentina e Australia, non finivamo nelle mani delle dame di carità ma spesso dei peggiori fra i nostri connazionali andati in giro per il mondo.

Quando gli ebrei italiani fuggirono inseguiti dall'obbrobrio senza tempo delle leggi razziali fasciste, quelli erano profughi resi tali dai loro connazionali. Come profughi erano le vittime della tragedia di Cutro, fuggiti dall'Afghanistan, dalla Siria, dalle guerre, dai peggiori regimi sulla faccia della terra. E quindi, Signor Ministro, parliamo con rispetto di quei genitori, perché erano i nostri nonni.

Un cordiale saluto.