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Agosto, moglie mia non ti conosco
"Agosto, moglie mia non ti conosco" è un vecchio detto ma anche un romanzo di Achille Campanile che lessi da ragazzo. Ma cosa significa? La frase evoca le vacanze della seconda metà del Novecento, quattro settimane di separazione fra coniugi, lei a flirtare sotto l'ombrellone con il nerboruto bagnino o con il romantico turista nordico, lui in città ad amoreggiare con la vicina di casa, oppure a concedersi proibite notti brave al night. Ma oggi chi se le può permettere quattro settimane consecutive di vacanze? E quante sono le mogli che possono concedersi un mese al mare sovvenzionato dal consorte? Oltretutto è molto più facile tradirsi negli altri mesi, visto che in genere l'amante è un/una collega di lavoro e le vacanze finiscono per essere l'unico periodo in cui si attiva il talamo coniugale per mancanza di alternative – alternative reali, voglio dire, perché lo smartphone permette a mariti e mogli di violare virtualmente per tutto l'anno il sesto comandamento. Tutto diventa più confuso se vi dico che l'origine di "Agosto, moglie mia non ti conosco" è antichissima (addirittura si trova in un poema di Esiodo) e che il suo senso era quasi l'opposto di quello moderno: in agosto, quando in cielo brilla la stella Sirio, il maschio si ammoscia mentre la donna diventa più focosa, e se gli uomini non vogliono esaurire le già scarse energie devono praticare la continenza. Praticamente, un "Antò, fa caldo" a parti rovesciate.