Uomini o caporali?

02.07.2024

Ho seguito l'infausta partita Svizzera-Italia in compagnia di un amico. Mentre lui sottolineava gli aspetti di carattere tattico e i nomi scelti dal commissario tecnico Luciano Spalletti, la mia attenzione era tutta su un altro aspetto: l'atteggiamento, il linguaggio del corpo e l'espressività dei giocatori con indosso la maglia azzurra. Uno sconcerto che è sfociato in sconforto per la pochezza caratteriale, di impegno e di personalità mostrata.

Ma riavvolgiamo il nastro. Mentre guardavo le immagini indecorose di quella partita, mi è venuta in mente la finale del 1982, quando diventammo campioni del mondo con il gruppo guidato da Enzo Bearzot. Mi è tornato in mente lo sguardo di Dino Zoff, di Gaetano Scirea, di Bruno Conti e di Claudio Gentile, solo per citarne alcuni. Dino Zoff non parlava mai, era un uomo di quasi quarant'anni con dei tratti somatici di un'Italia che oggi non esiste più, venuto su lavorando da meccanico in un'autofficina. A fianco a lui, il volto smunto e affilato di Paolo Rossi, che da lì a poco sarebbe diventato l'italiano più famoso del mondo. Ne aveva passate di tutti i colori. Non si reggeva in piedi ma il suo allenatore aveva sempre creduto in lui e non lo aveva abbandonato mai.

Poi mi è venuto in mente Enzo Bearzot, un uomo che leggeva i classici della letteratura ed era inflessibile davanti alle falsità. Un uomo che diventava d'acciaio quando si trattava di difendere i suoi giocatori. E allora mi sono chiesto: cosa avrebbe detto oggi nello spogliatoio della Nazionale? Qui non si tratta di come stoppi la palla, si tratta di cosa sei. Quegli uomini sapevano di aver raggiunto l'apice della carriera indossando la maglia azzurra. Non cantavano a squarciagola l'inno di Mameli – all'epoca non era di moda – ma quando andavano in campo erano l'Italia e spostavano l'aria. Erano educati, abituati alle responsabilità e al rispetto.

I ragazzotti di oggi trasmettono un senso di incompiutezza e di vacuità spaventoso. Guardi nei loro occhi e non vedi niente, se non in pochissimi. Il problema non sono i tatuaggi, le acconciature e le cremine, il problema è che dietro a questo non c'è niente. Ascoltate uno Jannik Sinner, una Sofia Goggia o un Gimbo Tamberi e poi ascoltate il nulla che emerge dalla Nazionale.

A un certo momento ho rivisto con la mente i tre gol di Paolo Rossi al Brasile e l'urlo di Tardelli nella finale contro la Germania, e mi sono ricordato cos'era quel gruppo di uomini che ci facevano gioire ed essere orgogliosi della nazionale. Chissà se, fra una seduta dall'estetista e un lettino a Formentera, qualcuno avrà voglia di trarne un minimo di ispirazione.