Circle of life

27.02.2024

Il ministro dell'Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha annunciato limiti stringenti all'utilizzo dei dispositivi digitali nelle scuole medie. Una premessa è d'obbligo: che lo smartphone sia un formidabile mezzo di distrazione di massa è pacifico, anche se dobbiamo ricordare che fra i più assidui maniaci di questo strumento ci sono gli adulti, spesso il peggior esempio possibile per i nostri figli. Questo però è un altro discorso.

In Italia e non solo si è sviluppato un vero e proprio strabismo digitale: da un lato ne siamo immersi h24, talvolta con conseguenze paradossali o tragicomiche, dall'altro ci ostiniamo a non sfruttarne a fondo le potenzialità. A scuola tutto questo diventa intollerabile, un vero e proprio harakiri istituzionale o, se preferite, istituzionalizzato. Impostare il rapporto fra gli adolescenti e lo smartphone sulla base del divieto sic et simpliciter, estendendolo inevitabilmente ai contenuti digitali, è il modo migliore per stimolare quanto di peggio gli stessi possano generare.

Non dovevamo certo attendere il Terzo millennio per riscoprire la potenza maliziosa del divieto: a quell'età tutto ciò che è proibito attira, tutto ciò che da ragazzi ci veniva osteggiato ci appariva il nirvana, anche se non lo era affatto. Possibile che non abbiamo imparato nulla? Con l'aggravante rappresentata dalle caratteristiche stesse della nostra era: il digitale è per sua stessa natura inarginabile, perché fa parte della nostra vita. Della vita di tutti, ragazzi e adulti. Si tratta semplicemente di decidere come utilizzarlo, se fermarsi alla superficie e ridurlo a mero moltiplicatore di sciocchezze, oppure rendersi conto che studiare è un preciso dovere degli adulti: conoscere, capire, analizzare fenomeni e linguaggi. E questo vale per ministri, professori e genitori, a meno che non vogliamo scavare un solco fra madri, padri e figli e perdere il treno della contemporaneità.

Come dicevo, il problema non è solo italiano e lo shock culturale del digital è un fenomeno ampio e diffuso, ma già la nostra formazione arranca rispetto a quella di molti Paesi, e se poi ci azzoppiamo inseguendo anacronistici divieti, la frittata sarà inevitabile. E questo è intollerabile, anche perché rimanda a uno sgradevole moralismo, a un etichettare lo smartphone come pericoloso quando semplicemente è sconosciuto.

Nessun essere umano sano di mente si sognerebbe di dare il via libera a un suo uso sconsiderato in classe e credo che le sanzioni disciplinari facciano parte del percorso di educazione scolastica. Non mi ritengo un buonista, insomma, ma non mi rassegno all'idea di questa ritirata, al rifiutarsi di prendere atto che, oggi come oggi, non è pensabile insegnare senza ricorrere a un uso intelligente e accattivante delle fonti digitali. È il loro mondo. Se i ragazzi avranno la sensazione che i "grandi" non fanno alcuno sforzo per comprendere e aggiornarsi, i divieti li aggireranno, come noi aggiravamo quelli della nostra epoca, nell'infinito circle of life.

Ripensiamoci: non tanto ai divieti – che contano poco o nulla – ma all'approccio generale che dobbiamo avere. Ai professori bisogna dare messaggi esattamente opposti a quelli che stiamo dando ora: l'insegnamento che prescinda dal digitale è una follia autolesionista, pari soltanto al lasciare le vite dei nostri figli alla mercé di un digitale incontrollato.