La maestrina dalla penna rossa

09.03.2021

Per compiacere Laura Boldrini doveva definirsi "direttrice d'orchestra", invece Beatrice Venezi si è chiamata "direttore d'orchestra". Un dramma. La donna è stata massacrata dalla Boldrini e da tutti coloro che la pensano come lei, trascurando che l'idioma è un elastico adattabile alla tradizione e alla persona che lo utilizza. Il bisticcio che ne è derivato ha assunto connotazioni comiche, dato che da sempre, fino a prova contraria, ciascuno parla come cazzo gli pare. Questi signori dovrebbero sapere che la consuetudine, sorella dell'abitudine, spesso oltrepassa le pedanterie tardo femministe.

Personalmente nutro una naturale avversione verso gli alfieri del Buono e del Giusto, anche quando combattono battaglie sacrosante. Questo perché le loro guerre implicano spesso l'assunzione di posizioni cementate su verità assolute, che livellano le soggettività tentando di ridurle dentro a categorie onnicomprensive e falsamente omogenee. Una su tutte, quella delle donne.

L'asprezza con cui Laura Boldrini ha agito nei confronti di Beatrice Venezi, rea di non aver declinato la sua professione al femminile, ha le movenze del più scontato agire maschilista e patriarcale, incarnando quella posizione dalla quale un uomo avrebbe duramente riportato all'ordine una donna colpevole di non aver fatto ciò che le donne "dovrebbero fare", specie in un tempo in cui il patriarcato sta rialzando la testa a suon di ragazze fatte a pezzi.

La Boldrini ha evidenziato una perdita di lucidità e di visione di alcuni dati oggettivi e peculiari sommersi dal furore ideologico. Le sue accuse non tengono conto minimamente che Beatrice Venezi rappresenta l'esempio più nitido e cristallino di emancipazione femminile, sacrificio, talento e messa in scacco della prevaricazione maschile. L'accusa di essersi piegata alle imposizioni grammaticali maschiliste a mio avviso sono surreali e farneticanti.

Stiamo parlando del direttore d'orchestra, una posizione di potere, un ruolo apicale per antonomasia, innalzato su uno scranno dal quale tiene in pugno la vita musicale di tutti gli orchestrali. Le accuse della Boldrini non sono state scagliate contro la serva impaurita che passa a pulire gli strumenti mentre il maschio è fuori a fumare una sigaretta, ma al capo che dirige i movimenti e la resa musicale di tutta l'orchestra.

"Rifletta sui sacrifici delle donne" dice la Boldrini con tono indisponente, dimenticando di parlare ad una professionista che vanta un curriculum stellare per ottenere il quale deve aver studiato e lavorato "pancia a terra" per chissà quanti anni. 

Dio ci scampi da quelle donne che, col dito puntato, sanno cosa le donne devono dire o fare, grondanti di desiderio di rappresentazione dell'universo femminile che, nel furore del giusto agire, dimenticano ciò che generazioni di maschi hanno sempre voluto dimenticare: la volontà del soggetto.

Cara Boldrini, le donne non sono tutte, sono una per una, e dato che lei si pone sempre come "maestrina", mi permetta di farle notare che, per quanto riguarda la terminologia, ognuno ha il diritto di essere chiamato come vuole nell'ambito della pluralità degli usi esistenti nella lingua italiana. Scegliendo la definizione "direttore", Beatrice Venezi ha adoperato quello che in grammatica si chiama maschile inclusivo o non marcato, una soluzione molto nota nella lingua italiana, mentre sul piano lessicale aveva tre possibilità per definirsi: una tradizionale (direttore), una declinata al femminile (direttrice) e una più moderna (direttora). Ognuno ha il diritto di fare la propria scelta, ma non può pretendere di imporla agli altri in maniera assoluta.