La zappa o lo studio

17.09.2023

Pochi giorni fa sono tornato dalle vacanze, proprio nella settimana in cui iniziavano le scuole, e la notizia che mi ha colpito è che vogliono dichiarare guerra ai "3" in pagella. Il principio è chiaro: non si potrà andare sotto il "4" per non sottoporre gli studenti a una doppia umiliazione: la grave insufficienza e il peso psicologico di un voto da sempre considerato lo specchio della totale impreparazione, cioè del fallimento.

Nulla di nuovo per una scuola che ha quasi cancellato il concetto stesso di bocciatura, arrivando a confezionare un esame di maturità di cui parliamo per settimane e che promuove il 99,8% dei candidati. Sono stato sempre curioso di conoscere quello 0,2%.

Lo spirito è chiarissimo ma difetta di un principio cardine: il realismo. Qui non si tratta di fare i severi o, peggio ancora, i nostalgici dei tempi che furono, quelli dei maestri che facevano tremare i bambini in classe e pure i loro genitori, la scuola dell'Italia contadina appena avviata al boom, in cui sui banchi di scuola si decidevano già i futuri destini: la zappa o lo studio.

Il problema è che il nostro mondo, il mondo dell'era digitale, si avvia a diventare una delle arene più competitive della storia dell'umanità. Questa è la realtà che qualcuno sta ignorando, perché la scuola, negando il merito, condanna i più svantaggiati a restare tali. Nega loro la possibilità di sfruttare la leva dell'impegno, delle capacità, della voglia di mangiarsi la vita. Una scuola che si schiera per la conservazione dello status quo.

I figli delle classi più abbienti potranno continuare ad accedere – pagando – ai migliori professori, alle strutture più evolute, ai metodi di insegnamento più moderni. Gli altri si dovranno accontentare. Solo che nel giro di pochi anni i ragazzi si troveranno faccia a faccia con un mondo ultra competitivo, dove altissima specializzazione e preparazione la fanno da padrona e segnano la differenza fra il poter svolgere un lavoro ad alta soddisfazione personale, professionale ed economica o attività routinarie e sempre più precarie.

Chi preparerà i nostri ragazzi al lavoro? Chi farà capir loro che non finiranno mai di studiare, prepararsi, formarsi e migliorare? Chi gli dirà che dovranno essere capaci di ricoprire ruoli e mansioni per lavori che oggi neppure esistono? Dubito che questo ruolo possa essere ricoperto da chi li dispensa da qualsiasi ostacolo, delusione, umiliazione o prova che non sia una comoda passeggiata.

Quello che più fa rabbia è far finta di ignorare che tutto questo mina alla radice uno dei concetti fondamentali del moderno Stato democratico: garantire a tutti uguali condizioni di partenza e medesime possibilità. Regalare voti, diplomi e titoli può servire solo a chi lavorerà non per capacità ma per parentela.