Figli

27.10.2019

Luca Sacchi, ucciso a Roma con un colpo di pistola alla testa come in un film, come in Suburra o Gomorra, poteva essere mio figlio. Ma anche il bambino precipitato nella tromba delle scale della sua scuola elementare, o la ragazza livornese stroncata da un malore in discoteca, dopo aver buttato giù un paio di pasticche di robaccia chimica. Anche lei poteva essere mia figlia. E potevano essere miei figli anche quelli morti schiantati con l'auto di notte, al ritorno dalle loro serate di svago, usciti di strada, finiti contro un albero o precipitati da un viadotto.

Figli uccisi, vite gettate ancor prima di sbocciare, adesso che figli non se ne fanno quasi più. È così bella l'espressione «mettere al mondo un figlio», perché ogni nascita, nella sua essenza, è un regalo al mondo, è generare un nuovo sguardo, un nuovo cuore che batte, un nuovo cervello che si farà domande e tenterà di dare delle risposte. Ma significa anche mettere il mondo dentro al figlio, assegnargli un futuro che oggi ci viene raccontato come plumbeo, carico di minacce, surriscaldato non solo per le temperature in rialzo ma anche per l'incombere di crisi, conflitti, tensioni che esplodono ovunque, come focolai di un fuoco che sta montando inesorabile.

Dunque, ormai solo pochi - ottimisti? egoisti? irresponsabili? - si avventurano nell'impresa di generare un essere umano per metterlo alle prese con cataclismi climatici o economici, o rischiando di vederselo ammazzare per strada da un balordo, un balordo con la pistola che per rubare uno zainetto con dentro uno smartphone uccide nostro figlio. Ma anche il balordo è un figlio, e ci sarà una madre che piange, che avrebbe voluto altro per il suo ragazzo, non che diventasse un assassino di altri figli.

Quelli che i figli li hanno fatti, oggi hanno un lutto nel cuore, e quelli che non li hanno fatti e non li faranno, pur desiderandoli, proveranno anche loro dolore. La sconfitta è di tutti.