Pandemenza

29.07.2020

In questi ultimi mesi abbiamo usato alcuni termini, come ad esempio epidemia e pandemia, spesso non conoscendo la loro derivazione linguistica. Il termine epidemia si riferisce a qualcosa che incombe su una parte limitata del popolo (dal greco epí, sopra; e demos, popolo), mentre la pandemia ci mette in guardia rispetto a un pericolo che coinvolge potenzialmente il popolo nella sua interezza (pan, tutto). Questo è ciò che ci insegna quella bellissima materia che studia l'origine delle parole e che si chiama Etimologia.

L'epoca in cui viviamo è quella che, tristemente, troppo spesso si lascia riassumere nel termine parodia (ancora dal greco pará + odê, che significa "controcanto"). Un controcanto che non ha lo scopo di suscitare il riso e men che meno di farsi beffe dell'etimologia. Nel nostro caso il termine parodia vuole svelare il contesto poco serio (ma non per questo meno grave) con cui abbiamo a che fare per interpretare il nostro tempo. Il tempo triste e sciagurato di un'epidemia da virus che, ahinoi, si è rapidamente trasformata in pandemia ma, per l'occasione, ha prodotto anche un effetto non contemplato dai manuali di virologia, e cioè la pandemenza, che trattandosi di un neologismo proverò a fornire una definizione personale e quindi tutt'altro che rigorosa.

Con il termine pandemenza si intende una curiosa ma evidentissima forma di rincoglionimento diffuso che, a parte i leoni da social, ha fatto emergere personaggi fra i più disparati, dal filosofo Giorgio Agamben al critico d'arte Vittorio Sgarbi, al politico Matteo Salvini al cantante Andrea Bocelli, i quali hanno esternato le proprie più o meno profonde elucubrazioni sull'emergenza sanitaria.

L'illustre filosofo ci ha intrattenuto teorizzando una sorta di nuovo governo totalitario, naturalmente senza specificare per opera di chi e senza specificare quali misure alternative si sarebbero dovute prendere per contenere un virus contagioso e sconosciuto. L'autorevole critico d'arte non ha praticamente argomentato, limitandosi a una forma di situazionismo estremo nella scena penosa del suo corpo portato via di peso dai commessi di Montecitorio. L'ingegnoso leader della Lega, impavido di fronte a ogni senso del ridicolo e della contraddizione, si è alternato fra un "gli immigrati portano il virus" a un "il virus non esiste più", salvo concludere che lui comunque la mascherina non la indossa più (forse per paura che gli rovini i selfie).

Terminando la rassegna di pandemenza, arrivo fino al celebre cantante Andrea Bocelli, che puntualmente ha argomentato in questo modo: "Non conosco nessuno della mia cerchia di amici che è stato ricoverato in terapia intensiva, quindi...". Che poi, a volerla dire tutta, neanche io conosco nessuno della mia cerchia di amici che compri i suoi dischi, ma da qui a negare la sua popolarità ci passano oceani. I milioni di dischi venduti, certo, però non si capisce bene perché dovrebbero valere più delle centinaia di migliaia di morti nel mondo per colpa del virus, peraltro destinati molto probabilmente ad aumentare.

Milioni di contagiati, intere nazioni messe in crisi, ospedali allo stremo, capi di governo titolari di epiche figuracce (Johnson, Trump, Bolsonaro, tanto per citarne alcuni), eventi mediatici e commerciali di notevole spessore annullati in tutto il mondo (con perdite economiche ingenti), eppure abbondano i personaggi più o meno illustri che negano l'emergenza, si ribellano irrazionalmente alle misure di sicurezza, individuano trame, interessi, colpevoli e Dio solo sa che altro pur di negare l'evidenza.

Senza contare il dato più grave in quest'epoca di solitudini comunicanti: la scomparsa dell'empatia. Quello che non coinvolge me o la mia cerchia, non esiste o è trascurabile. Il guaio è che mentre il virus prima o poi sparirà, la pandemenza dovremo tenercela e provocherà danni inimmaginabili.