Quando siete felici fateci caso

01.08.2019

La felicità «è un bicchiere di vino con un panino». Perdonatemi se ho toccato il fondo delle citazioni con Al Bano e Romina. Il problema è che volendo trovare una citazione sulla felicità non ci si riesce. Perché sono troppe, ma soprattutto perché felicità e infelicità sono stati d'animo praticamente inafferrabili. Perché dipendenti da cose minime, anche insignificanti, estremamente soggettive. Alzandomi dal piano terra delle citazioni, dovessi scegliere, la più azzeccata è di Vonnegut: «Quando siete felici fateci caso». Se invece volessi, come voglio, ragionare sulla dimensione sociale della felicità, dovrei anzitutto ribadire quello che scrissi un po' di articoli fa, ovvero che siamo ai livelli minimi, anche rispetto a quando la società italiana stava economicamente molto peggio.

Cinquant'anni fa eravamo il luogo terreno della Dolce vita, oggi siamo un Paese indebitato e ripiegato su stesso. Un Paese da «operetta», come scrisse il New York Times a proposito delle liti fra Salvini e Macron sull'immigrazione, a conferma che gli stereotipi sono durissimi a morire. Siamo un Paese risentito, maleducato, incrudelito, brutto, sporco, cattivo e compiaciuto di esserlo. Ora è vero che siamo in buona compagnia, dato che della sgradevolezza il presidente Donald Trump ha fatto uno strumento politico vincente, ma è altrettanto vero che da noi i livelli di risentimento individuale e pubblico continuano a crescere, e non sembra esserci argine a una rabbia che attende solo un pretesto per scatenarsi.

Ciò che più colpisce, tuttavia, è la simmetricità dell'odio fra i due campi, fra destra e sinistra. Prende trasversalmente tutto il Paese, senza differenze economiche, territoriali, sociali. Prova è che inveiscono ugualmente contro la politica e i politici (di governo e di opposizione), gli artigiani "ricchi" del Nord e i disoccupati del Sud, le partite Iva e gli insegnanti, i centri sociali e CasaPound. E che il rimpianto per ciò che è stato si spinge fino alla rivalutazione dei governi borbonici nel Sud Italia, della Dc, di Bettino Craxi e addirittura di Silvio Berlusconi. Effettivamente se pensiamo alla farsa dei rubli russi alla Lega e al "mandato zero" inaugurato da Di Maio, la nostalgia ci sta tutta. Va da sé che un'Italia così malmessa e sconnessa non può certo essere felice.

La salute e la serenità, il buonumore e l'apertura nei confronti della vita si mantengono coltivando se stessi, le proprie passioni, ma anche vivendo positivamente in mezzo agli altri. La socialità fa star bene. Da soli ci si ammala. E noi siamo secondi in Europa (dati Istat 2018) per numero di persone sole, soprattutto anziane. La solitudine è ormai considerata una vera e propria patologia. Negli Anni 80, quando la vita frullava che era un piacere, "Single" era la condizione sociale che meglio definiva il bello del vivere da soli. Oggi non è più così. Le più infelici sono le persone sole.

La crescente solitudine è il principale fattore di sconnessione sociale, che paradossalmente è alimentata dalla connessione digitale, che negli ultimi dieci anni ha avuto crescite esponenziali. Ci siamo incattiviti, non rispettiamo le opinioni degli altri, anzi, non le ascoltiamo nemmeno. Un popolo diviso tra buonisti e cattivisti l'uno contro l'altro armati. Entrambi conoscono solo lo scontro, le male parole, le accuse senza mai scuse, nemmeno quando ci si rende conto di avere sbagliato.

Considerato che la lunga stagione degli insulti reciproci - iniziata con Berlusconi, proseguita con Renzi e attualmente in pieno corso con Salvini - s'è accompagnata al costante peggioramento dei conti pubblici e della felicità collettiva. Con il Pil sono precipitati pure il buonumore e la serenità. Insomma, l'incazzatura e l'insulto bipartisan ci hanno fatto male anche materialmente. Dovremmo convincerci che la felicità è economicamente conveniente, uno stato che va cercato, pianificato e mantenuto, sottraendosi anzitutto al "cattivismo" imperante. «Una buona azione è una lezione insolente» diceva Chateaubriand. Ecco, l'Italia ha bisogno di leader insolenti.