Seconda generazione

19.01.2022

Quando diciamo "immigrati di seconda generazione" ci sembra di racchiudere con queste poche parole un universo fatto invece di enormi diversità. I due ragazzi fermati per le violenze a Capodanno in piazza Duomo a Milano sono figli di immigrati, come quelli che la polizia ha perquisito per gli stessi fatti. Vivono nelle periferie delle grandi città, spesso non vanno a scuola e non si sentono italiani nonostante siano nati nel nostro Paese. Sono i volti dei video di tanti rapper, sono i componenti di quelle che vengono definite baby gang. La loro è una realtà complessa dove di regole ce ne sono ben poche, tranne quella di difendersi l'uno con l'altro, di fare muro di fronte a una società in cui non si riconoscono e non hanno alcuna intenzione di integrarsi.

Sono ragazzi che andrebbero presi per mano perché hanno tutto il futuro davanti, ma è difficile farlo, a volte ci riescono i preti e volontari che dedicano le loro giornate a cercare di penetrare la cortina di diffidenza che rende questi giovani ancora più distanti dai loro coetanei. Già riuscire a farli studiare sarebbe un passo avanti, perché la scuola li porterebbe a misurarsi con una realtà che non è detto sia poi così ostile.

Ma dicevo che non si può racchiudere questa gioventù in un'unica espressione, e proprio i fatti terribili di Milano lo dimostrano, perché chi ha filmato quelle violenze, chi ha avuto il coraggio di metterci la faccia per raccontare quei terribili minuti, è anche lei una "immigrata di seconda generazione" praticamente coetanea dei giovani accusati di violenza e anche delle vittime.

Ha fatto quello che pochissimi, non solo adolescenti, avrebbero fatto. Prima è intervenuta per cercare di fermare il branco, una ragazza da sola in mezzo a una trentina di ragazzi, a rischio anche della sua incolumità, poi ha scelto di mostrarsi a volto scoperto per testimoniare quello a cui ha assistito. È l'unica finora ad averlo fatto. Eppure c'è da scommettere che in piazza Duomo a Capodanno di persone ce ne fossero parecchie. Lo ha fatto perché «è quello che vorrei facessero se capitasse a me». Ma lo ha fatto anche per ribadire che non importa di che nazionalità fossero i ragazzi di quel branco. La violenza non ha colore né nazionalità. E questa è la dimostrazione che un'altra "seconda generazione" esiste e riguarda anche tutte quelle ragazze musulmane che della libertà nel vestire hanno fatto una bandiera e che abbiamo il dovere di difendere. Una generazione che è una speranza per il futuro di tutti noi, in un mondo dove l'integrazione è sempre più necessaria.

E allora deve essere punito chi delinque e va fatto qualcosa per cercare di evitare che tanti si perdano, ma va anche ricordato che c'è chi arriva da Paesi lontani e si sente italiano in tutto e per tutto, rispetta le regole e può essere di esempio anche a parecchi italiani.