Siamo leggende!

15.07.2021

A volte non puoi cercare una spiegazione, un senso. Le cose accadono e basta. Lo stesso giorno, 39 anni dopo il Santiago Bernabeu, Paolo Rossi e Sandro Pertini, l'Italia ha vinto un altro grande trofeo proprio l'11 luglio: campioni d'Europa più di mezzo secolo dopo la prima e unica volta allo stadio Olimpico di Roma, in un mondo in bianco e nero che stava vorticosamente cambiando.

Europei e Mondiali fanno la storia, ti consegnano a una dimensione diversa, cristallizzano i momenti. Sollevare la coppa è un po' come non invecchiare mai, giovani per sempre come gli eroi omerici. E' una condizione dolcissima e terribile allo stesso tempo. Diventi parte dell'immaginario collettivo del Paese ma sai che sarà presto impossibile conciliare quelle sensazioni irripetibili con la routine della vita che va avanti. Lo spiegò meravigliosamente proprio Paolo Rossi, quando disse: «Quella notte camminavo sul prato del Bernabeu e mi guardavo intorno, cercando di fissare la felicità ma sapendo già che sarebbe scappata via».

E' incredibile quanto possa essere splendida e malinconica una notte così. Riguardando le immagini di allora e quelle di domenica scorsa, mi salta all'occhio un particolare: in Spagna, mentre Sandro Pertini con il suo innato senso dello spettacolo si conquistava un posto nel cuore degli italiani, gli azzurri di Bearzot portavano in trionfo il loro condottiero. Gli abbracci, la corsa con la Coppa del Mondo fra le mani, decine di migliaia di italiani accorsi a Madrid per la notte che aprì gli anni Ottanta. La gioia era folle eppure non piangeva nessuno.

Domenica sera sul prato di Wembley non c'è stato un azzurro, un membro dello staff della Nazionale che sia riuscito a trattenere le lacrime. Il pianto irrefrenabile di Roberto Mancini e Gianluca Vialli, abbracciati in quello stesso stadio dove nel 1992 il loro sogno si era schiantato sulla punizione di Koeman, è solo la copertina di un meraviglioso libro tutto da sfogliare. Tutti travolti, nessuno escluso.

Le lacrime di Wembley e la gioia più composta del Santiago Bernabeu sono lo specchio di mondi diversi, di educazioni ormai lontane fra di loro. Quei ragazzi erano ancora figli di un mondo in cui si insegnava che gli uomini non piangono, mentre oggi abbiamo superato l'idea che il maschio non possa concedersi qualche lacrima in pubblico. I nostri eroi del pallone conciliano senza imbarazzo corpi muscolosi e ipertatuati con gli occhi gonfi di lacrime. Non è meglio o peggio di prima, è solo diverso. Il Paese, la società e i suoi schemi sono diversi. Sono cambiate le persone, le interazioni, i modi di manifestare e nascondere le emozioni. Quello che resta sempre uguale è la magia di notti così, la consapevolezza urlata in diretta tv da Leonardo Bonucci: «Siamo leggende!».

Nessuna presunzione, solo la presa di coscienza di essere gli eredi di Meazza e Valentino Mazzola, Riva e Rivera, Rossi e Tardelli, Baggio e Cannavaro, Totti e Buffon. Una gigantesca responsabilità di essere azzurri.