Tutti dottori

02.03.2020

Guardi il Festival di Sanremo e capisci che il pop, abbreviazione di popolare, è diventato strapop, ovvero superpopolare, quasi populista. Una derivazione e una deriva inevitabili perché la cultura di massa in tutte le sue manifestazioni soggiace anch'essa alla legge di gravità. Salire e innalzarsi si può, ma è un percorso difficile, impegnativo, che richiede voglia e impegno. Scendere o stare su livelli facili, viceversa, è ciò che viene meglio e tendono a fare tutti. Perché è facile ascoltare un canzonetta, guardare un varietà, leggere un romanzo d'evasione o un giornale popolare, raccontarsi barzellette e parlare di sport al bar. Molto più che ascoltare musica classica, interessarsi di Filologia, studiare le lingue, la Medicina e più in generale addentrarsi nei territori dell'alta cultura, per usare un termine al quale da sempre si contrappone quello di bassa cultura. Ovviamente non è da oggi che la seconda la fa da padrona. Nel frattempo i colti, gli intellettuali, gli spiriti eletti, si lamentano da sempre della barbarie culturale delle masse.

Molti di voi ricorderanno gli anatemi di Pasolini nei confronti dell'industria culturale, o quelli di Umberto Eco, l'ultimo intellettuale a scagliarsi contro gli imbecilli del web. La contrapposizione fra colti (pochi) e incolti (tanti) che permane, in questi anni ha cambiato in modo sostanziale segno e caratteristiche. La novità che vediamo chiaramente è che la cultura che prima era rispettata, ora è addirittura vilipesa. E' la figura stessa di intellettuale che viene rigettata, perché è un valore non più in corso, come la lira. Contestualmente a questo disconoscimento è emersa una grande sottocultura generata e alimentata dalla tivù ma portata a piena maturazione dal web. Una sottocultura non più in conflitto con la cultura dominante per la semplice ragione che essa stessa è diventata (sotto)cultura dominante. Sembra un gioco di parole ma, se ci pensate bene, è drammatico.

Questa sottocultura dominante è una novità assoluta, dal momento che non si considera inferiore nemmeno all'alta cultura, soprattutto perché non viene riconosciuta più come tale. Facebook è il canale di diffusione privilegiato della cultura strapop, che oggi è maggioranza nel Paese, identificabile, secondo l'Istat, in quell'oltre 50% di italiani che giornalmente guarda molta tivù, sta sul web ma legge pochi libri. È assolutamente priva di un'ideologia definita, è destrutturata, superficiale, veloce, virale. È una sottocultura (dominante) di matrice televisiva che si è imposta con la forza paziente e implacabile della goccia che scava il sasso, poco alla volta ma tutti i giorni: a colpi di troniste e veline, grandi fratelli e gabibbi, varietà sgangherati e talk show. Poi il web e i social, con semplicità e facilità quasi disarmanti, hanno in questi anni completato il lavoro.

Il "nazionalpopolare" ha letteralmente tracimato, da elemento "una tantum" (Festival di Sanremo, Miss Italia, ecc.) i generi ultra popolari (vippismo e comicità volgare, reality show e cronaca nera spettacolarizzata) sono diventati pane quotidiano, soprattutto perché "ingrassati" dai social. Così si è imposto lo strapop, cioè la cultura popolare diventata populista: chiusa, conservatrice, impaurita e perciò aggressiva. Intendiamoci, la cultura di massa non ha mai brillato per raffinatezza e profondità di pensiero, però ha sempre avuto rispetto dell'alta cultura, pur tenendosi lontana da essa e dalle sue diverse espressioni. Ora invece la disdegna apertamente e pensa che non ci siano più "percorsi" per praticare un sapere, dagli studi universitari a ogni forma di "apprendistato". Siamo passati dal "tutti commissari tecnici" del Bar Sport al "tutti dottori" del web: all'epoca dei social nessuno è escluso dall'opinionare liberamente su ogni cosa.

Un gran frullato misto nel quale ci stanno i tatuaggi di Fedez, video dementi da milioni di visualizzazioni, master di un giorno venduti con l'80% di sconto, la sottosegretaria alla Cultura leghista che dichiara di non aver letto un libro negli ultimi due anni, il disprezzo dei congiuntivi di Luigi Di Maio, la nomina all'Unesco di Lino Banfi, l'opinionismo di Mauro Corona e le lezioni di Luxuria tra un'isola dei famosi e un salotto di Giletti.