Un cappotto

27.09.2022

Il giorno dopo, le dimensioni del trionfo fanno ancora più impressione: non una vittoria ma un cappotto. Se è vero che simili affermazioni si sono verificate in Italia in tutte le ultime elezioni - Matteo Renzi, Movimento 5 Stelle, Matteo Salvini - è altrettanto indiscutibile come nell'area di centrodestra non si fosse mai assistito a un simile dominio di un singolo partito.

Domenica, dietro Fratelli d'Italia, si è aperta una voragine in cui i numeri sono lo specchio della sostanza. Una realtà che consegna a Giorgia Meloni una delle vittorie storicamente più significative delle elezioni italiane. Una cavalcata impetuosa arrivata a vette inimmaginabili da cui osservare, a distanze variabili ma comunque enormi, amici e avversari.

Sul fronte della politica estera Giorgia Meloni è stata intelligente a porsi in posizione indiscutibile quanto ad atlantismo e occidentalismo, offrendo una sponda alla stessa Commissione europea; un'Italia rispettosa del suo storico posizionamento appena rinforzato da Mario Draghi non potrà che far piacere a Bruxelles, togliendo quei timori che pure non dobbiamo far finta di non vedere.

Dall'altra parte c'è il nulla. Non è bastato portare in piazza a Monza cinquecento sindaci per ribaltare un risultato che era scritto da tempo. Trovata davvero geniale. Lo sfacelo del Partito democratico è totale, imputabile a una leadership insicura, grigia e priva di visione. Dopo tanto agitarsi e tre anni e mezzo di governo, i democratici sono tornati esattamente dove li aveva lasciati Matteo Renzi. Che Letta sia ai saluti lo ha detto lui stesso, ma non è nel personalismo che il Pd potrà ritrovare una strada. Saranno giorni dai lunghi coltelli, anche se i vari Bonaccini, Orlando e compagnia varia dov'erano? Qualcuno ha mai criticato la linea del segretario, mettendolo in guardia da scelte di comunicazione che oserei definire sbagliate?

Se Letta è politicamente morto, non è che il leader della Lega sia in gran forma. Ha trimezzato (si può dire?) i voti del suo partito, un dato prevedibile, anche perché alle ultime amministrative i consensi del Nord Est si erano già riversati in massa su Fratelli d'Italia. La sua leadership è più solida rispetto a quella di Letta ma soltanto perché lo statuto della Lega non permette facili e immediati disarcionamenti. Ma diamo tempo al tempo.

Quanto a Forza Italia, Silvio Berlusconi può vantare il quasi aggancio a Salvini e un potere di pressione non indifferente che potrebbe esercitare sul futuro governo. Un risultato forse al di sopra delle stesse aspettative del "giaguaro".

Per quanto riguarda Giuseppe Conte, durante la campagna elettorale ha sempre risposto piccato: «Non siamo il partito del Sud». A parte che non c'è nulla di male ad avere un forte consenso in una parte del Paese, l'avvocato è ormai di fatto il leader del nuovo partito di un Sud che chiede il mantenimento dell'assistenzialismo ora e per sempre.

Carlo Calenda e Matteo Renzi promettevano sfracelli in nome di Draghi e di una peraltro sua inesistente agenda. Se però mettete insieme una parte del partito dell'astensione (interpretandolo come una presa di posizione anti-sistema), Fratelli d'Italia (all'opposizione dei due governi Conte e poi di quello Draghi) e lo stesso Movimento Cinque Stelle (sempre al governo ma comunque critico nei confronti del presidente del Consiglio uscente) noterete che una notevole fetta dell'elettorato non ha molto amato e ammirato il cosiddetto "governo dei migliori".

Per concludere, una curiosità: che lavoro farà ora Di Maio? L'inventore del reddito di cittadinanza è stato sconfitto in casa e forse ora si starà chiedendo chi gliel'abbia fatto fare di uscire dal Movimento innescando, di fatto, la valanga che ha travolto sé stesso.