Una promessa di infelicità

06.04.2021

Non ci vuole molto a capire che pochi sorridono. Anche se le mascherine coprono la bocca, le emozioni le vedi dagli occhi, dagli sguardi stanchi, sempre uguali, che hanno smesso di aspettare qualcosa che non arriva. Poi c'è la paura, perché non è detto che dopo sia meglio. L'orizzonte non promette, non rassicura, non dice più "andrà tutto bene". È per questo che «come stai?» non è più l'inizio di una conversazione. Il timore è che la risposta non sia affatto positiva. Allora niente «come stai?», niente «cosa farai domani?». Queste sono domande da professionisti, di chi le fa per mestiere, di chi fa le statistiche per sapere come vivono gli italiani, cosa sentono, come si percepiscono. È quello che fa l'Istat con il rapporto sul Benessere equo e sostenibile.

E' una cosa seria, perché è l'indice delle nostre speranze e paure, ma il titolo, con quell'equo e sostenibile, ti strappa un sorriso. Non c'è nulla di equo nella matematica della felicità e non serve scomodare i polli di Trilussa. La statistica ti racconta che nel 2020 la metà degli italiani non è stata tanto soddisfatta della propria vita, e non è tutta colpa della pandemia, perché l'anno prima gli insoddisfatti erano di più.

È che da tempo certi sentimenti si respirano nell'aria, non è rabbia, anche se c'è pure quella, ma un rancore che non trova una direzione. È quella diffidenza che non ti fa credere più a niente, perché da troppi anni senti sulle spalle una crisi che non è solo economica. È la sensazione che il passato finisca per sembrarti sempre migliore, tanto da farti diventare nostalgico. È il malessere di chi ha smesso di sperare e tira avanti a vivacchiare senza aspettarsi troppo dagli anni che verranno. È la solitudine che si diffonde sempre di più, perché il paracadute sociale si è strappato e quando cadi, quando esci dalla giostra, non c'è nessuno che si accorge di te. È quel sentirsi invisibili in un universo dove in apparenza tutti sono socievoli, connessi, come se davvero ogni vita fosse legata a quella degli altri, poi ti accorgi che sei soltanto cibo per gli algoritmi, un consumatore, uno dei tanti da definire con una manciata di numeri.

Ti hanno detto che tutto era gratis, leggero e veloce, ma adesso sai che lo stai pagando con la tua identità. Pazienza. L'importante è la salute, un lavoro e un po'di soldi. Ecco, nel paniere del benessere equo e sostenibile è tutta roba che anno dopo anno comincia a scarseggiare. Ci vorrebbe un'iniezione di ottimismo. Chissà se esiste un vaccino contro la frustrazione? La cosa certa è che non si produce in laboratorio.

La statistica ti dice quello che qualche volta percepisci d'istinto. L'ansia, per esempio, che cresce tra i giovani e non è soltanto inesperienza, perché non passa con l'età. È qualcosa che stringe la gola, ti blocca, ti fa vedere ogni cosa troppo grande, troppo pesante. Ti suggerisce di rannicchiarti sotto le coperte perché fuori c'è un mondo freddo e incerto che ha solo fretta di giudicarti. L'ansia che ci fa sentire inadeguati. L'ansia che da troppo tempo è una promessa di infelicità.